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di Andrea Patroni Griffi
La dimensione costituzionale del rapporto tra politica e amministrazione nel dettato della Costituzione e nelle più recenti pronunce del giudice delle leggi
Nei limiti assegnati agli interventi, vorrei provare a delineare alcuni lineamenti di scenario del tema della relazione tra politica e amministrazione per evidenziare, in primo luogo, l'intima, talora sottovalutata, dimensione costituzionale del tema, che traspare invece chiara già dal dibattito in Assemblea costituente, e farne poi derivare qualche considerazione critica, sui vigenti modelli legislativi di disciplina del rapporto tra politica e amministrazione con particolare riferimento al tema, assai delicato e dibattuto, del conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali.
Il rapporto tra politica ed amministrazione è tema che affonda le proprie origini, a ben vedere, nella stessa distinzione, tra organi rappresentativi della comunità, che traducono le aspirazioni della società civile in programmi politici, ed apparati burocratici, che realizzano sul piano delle concrete scelte gestionali gli indirizzi ricevuti. E di tale rapporto la disciplina della dirigenza è la cartina di tornasole. E' un mito liberale quello secondo cui "le strutture amministrative sono macchine senza politica e fuori dalla storia", pronte a tradurre nel concreto, in maniera neutrale, ogni decisione politica proveniente dalle cangianti direttive di indirizzo politico-amministrativo. Un mito mai realizzato in Italia, ma forse neanche nel Regno Unito, patria della filosofia dello "yes, Minister" e della costitutional convention della political neutrality degli higher civil servants.
Già Minghetti, negli anni ottanta del XIX secolo, evidenziò i rischi connessi all’occupazione politica dell’amministrazione, prima ancora dell'avvento dello Stato costituzionale e della formulazione dei principi costituzionali - e , si badi bene, non solo di quelli contenuti nella cosiddetta "Costituzione amministrativa", ma nell'intero ordito costituzionale - che informano tale rapporto, e da cui davvero si deve "ripartire" con l'apporto decisivo del giudice delle leggi, che, invero, a lungo è sostanzialmente mancato, iniziandosi una chiara inversione di rotta solo nelle recenti, fondamentali decisioni 103 e 104 del 2007.
(segue)
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