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di Serafino Gatti
Il ruolo del legislatore per la ridefinizione del modello del welfare
Ho accolto con vivo piacere l’invito della Lumsa a partecipare alla presentazione di questo libro, in primo luogo, per la stima, l’affetto e la gratitudine che nutro verso Emmanuele Emanuele, che scaturiscono da quello che fa, e da come lo fa, per l’impegno e la passione che ci mette nel guidare una grande realtà del settore non profit, come la Fondazione Roma, ma soprattutto per la sua parallela attività di studioso, capace di cogliere le tematiche più attuali e più importanti con riguardo ai destini della nostra società.
Il libro che oggi viene presentato interviene nell’abito di un dibattito in cui la letteratura è ormai molto vasta, ma sono rari i contributi che, per la chiarezza e l’esaustività dell’esposizione e per la concretezza della proposta, sono in grado di far fare passi in avanti al confronto ed alla riflessione sulla problematica. E questo è sicuramente il caso del libro di Emanuele.
La vastità dei temi toccati dal libro mi impone di concentrare il mio contributo ad uno soltanto di quelli affrontati, ed esattamente a quello dell’“apporto che può offrire il legislatore nel favorire il passaggio verso l’auspicato modello di welfare society”, tante volte evocato da Emanuele in questo lavoro.
Negli ultimi decenni, nei Paesi occidentali in cui il modello del welfare state si è maggiormente diffuso, si è registrato un fenomeno, tuttora in atto, che si può sintetizzare nella formula “sviluppo senza benessere”, fenomeno caratterizzato a livello di evidenze empiriche: dall’elevato grado di insoddisfazione nei confronti degli standard qualitativi e quantitativi dei servizi pubblici in campo sociale; dalla crisi di fiducia verso le istituzioni, con particolare riferimento alla loro capacità di governare l’economia ed i suoi ricorrenti squilibri; dalla scarsa efficienza con cui le risorse pubbliche vengono investite nella produzione di servizi destinati alla collettività.
La crisi del modello di welfare state è stata, poi, aggravata ed accentuata da due fattori che hanno interessato la società nel suo complesso, ma, soprattutto, le società dei Paesi occidentali; questi sono l’avvento della globalizzazione, indotta dalla rivoluzione tecnologica e delle comunicazioni, da una parte, e l’aumento dei flussi migratori, dall’altra. Tutto ciò ha impattato in maniera profonda sulla struttura sociale ed economica preesistente, tanto che il welfare, sia per il singolo che per la collettività, non è più il risultato delle due sole componenti rappresentate dalla ricchezza prodotta e dalla sua distribuzione, ma è il prodotto del concorso di una molteplicità di fattori, funzioni e soggetti che, a loro volta, mutano con grande flessibilità. A questa nuova situazione, tuttora in fieri, si dà generalmente il nome di welfare mix o welfare society, ad indicare un nuovo modello di benessere possibilmente più condiviso e gratificante, più efficiente e snello, più libero nella possibilità di scelta dell’utente, da una parte, più responsabilizzante e più trasparente, dall’altra.
(segue)
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