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NUMERO 8 - 22/04/2009

 Ricordi di città divise

Ultimo anno di università, quartiere Monti. Sushi, vino, atmosfera familiare e contrasto su note disarmoniche di una comitiva avvinazzata. All’improvviso qualcuno entra nel locale, ha una chitarra e una pentola per cucinare. La cena pronta, servita fuori su gradini umidi di una Roma all’ombra del centro storico. Una Roma che sembra un dipinto, fra scalinate, vicoli, isole galleggianti.
Roma si acciambella, fra divani rossi e riflessi di luci colorate che si rincorrono sul soffitto di un localino nascosto dietro al “Rialto Sant'Ambrogio”. La mia città mi rincorre lungo la via del Tevere, nello scorrere incessante di macchine, luminarie e babbi natali coriacei appesi alle finestre delle case. Oracoli senza tempo, che il primo soffio di vento fa volteggiare in aria e strozzare con la stessa scala di corda su cui si arrampicano.
Ho sempre amato le città divise da un muro, da un solco, da un ponte. Anche un ponte può dividere, mi ha insegnato la mia città. Sopra ogni altra, ricordo Spalato, ombre di popoli stratificate fra le sue pietre, una città nascosta nel centro di una meta turistica, il tintinnio di bicchieri colmi di vino rosso portato in piazza da casa. Anziani che si incontrano in ricordi mezzi inventati, aneddoti colmi di attribuzioni e significati forzati nelle notti trascorse all’ombra di un centro storico fratturato. Il “cuore sacro” di una città nascosta, come la mia Monti a Roma, a metà strada fra casa mia e “la mia casa inventata”, un quartiere arroccato in pianura.

(segue)



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