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di Maria Grazia Rodomonte
Referendum abrogativo per le riforme elettorali nell'era della democrazia mediatica e bipolare
Poco meno di un mese fa si è svolto il referendum per l’abrogazione parziale della legge elettorale vigente. La chiamata alle urne dei referendari è riuscita a raggranellare solo il 23% circa degli aventi diritto al voto, raggiungendo così il minimo storico della partecipazione popolare. Le cronache politiche hanno registrato prima del voto un certo - seppur non eclatante - momentaneo interesse attorno alla consultazione referendaria e alla più o meno necessaria riforma elettorale; dopo il voto e il deludente risultato, non sono mancati gli interventi sulla ineluttabile necessità di giungere ad una pronta riforma dell’istituto referendario che, sempre nelle analisi politiche, è sembrato essere il vero ed unico malato, bisognoso di cure incisive e non più rinviabili.
Trascorso però neanche un mese da quella che alcuni non hanno mancato di definire come “la morte annunciata” del referendum di giugno, la questione referendaria ed elettorale sembra essere stata del tutto accantonata. E’ indubbio che l’agenda politica presenti ben altre priorità - dal G8, alla crisi economica, alle tristi vicende di cronaca - e che comunque, ad onor del vero, siano stati presentati, coerentemente con quanto affermato da alcuni dei principali protagonisti della scena politica del nostro Paese, progetti di riforma dell’art. 75 Cost. Non si può, tuttavia, mancare di osservare che, in fondo, l’interesse verso l’istituto referendario - ma anche verso una eventuale possibile modifica della legge elettorale - siano oggi entrambi relegati in secondo piano.
Il mancato raggiungimento del quorum strutturale al referendum per l’abrogazione di una parte della legge elettorale vigente non giunge, d’altronde, inaspettato. Il dato dell’astensionismo è infatti, ormai da molti anni a questa parte, e cioè dal 1997, una costante delle consultazioni referendarie e lo scarso afflusso alle urne si inscrive indubbiamente nel trend negativo che caratterizza negli ultimi tempi la partecipazione degli elettori alle consultazioni, non solo referendarie ma anche elettorali, segno evidente del malessere diffuso che caratterizza la vita politica italiana odierna.
Il fatto, tuttavia, che l’affluenza alle urne in occasione di un referendum abbia raggiunto i suoi minimi storici deve far riflettere.
In particolare sull’uso del referendum, sul suo possibile futuro e sul significato che ha ormai assunto un protagonista nuovo e forse originariamente imprevisto, cioè l’astensionismo, che ormai da più di un decennio sembra essersi affacciato con prepotenza sulla scena delle consultazioni referendarie, giocando un ruolo politico fondamentale.
(segue)
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