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di Antonio Iannuzzi
Norme generali sull'istruzione e riserva di legge
Il diritto all’istruzione acquista un rilievo assai importante nella Costituzione italiana e appare fortemente intrecciato con i principi e i valori recati dalla Carta fondamentale. La Costituzione, innovando radicalmente rispetto allo Statuto albertino, che nulla affermava al riguardo, detta numerosi principi in tema di istruzione, in linea con la missione che l’ordinamento costituzionale aveva autonomamente assunto: affrontare il «problema della società civile, nella sua interna struttura e nei suoi rapporti con la società politica, e al tempo stesso il problema della necessaria unità dei due termini, pur nel consapevole rispetto, e anzi nella garanzia, della loro distinzione, la quale non è però, né potrebbe essere, separazione o reciproca indifferenza; che interviene, perciò, esso stesso, e prescrive ai pubblici poteri costituiti di intervenire a loro volta nelle più varie forme, a regolare il concreto assetto della società civile, disciplinando rapporti e istituzioni private, stabilendo limiti e segnando indirizzi, circoscrivendo - talora rigorosamente - l’ambito dell’autonomia privata, e altre volte invece fissandone determinate guarentigie che nemmeno la legge (ordinaria) potrebbe infrangere o comunque menomare». Rispetto alla concezione fin lì dominante, che premiava una visione dell’istruzione come fine proprio ed istituzionale dello Stato, a cui spettava il compito non solo di promuovere e disciplinare, ma di provvedere direttamente, la Costituzione introduce due novità sostanziali: la costituzionalizzazione della libertà di insegnamento, in un primo tempo limitata ai soli professori universitari, anche agli insegnanti che prestano servizio in tutte le scuole e il riconoscimento del diritto di enti e privati di istituire scuole ed istituti di educazione. Si tratta di innovazioni di non poco conto poiché determinano il superamento della tradizionale concezione dell’istruzione come fine proprio ed istituzionale dello Stato che, sin lì e a partire dagli anni immediatamente precedenti all’Unità d’Italia, aveva consentito lo sviluppo di un sistema accentrato e uniforme del sistema scolastico. Il riconoscimento costituzionale della libertà di insegnamento e della possibilità per i privati di istituire scuole ed istituti di formazione segna, invece, l’affermazione di una pluralità di istruzioni, «diversamente caratterizzate tra loro e distinte innanzi tutto sotto il profilo soggettivo». In questo quadro, la formula contenuta all’art. 33, co. 2, secondo cui è compito della Repubblica dettare le norme generali sull’istruzione acquista una portata politicamente assai rilevante e chiaramente innovativa, poiché omette di fare esclusivamente riferimento all’istruzione pubblica, permettendo piuttosto di isolare la nozione di istruzione come tale, «senza aggettivi»: al diritto riconosciuto ai privati di istituire proprie scuole corrisponde specularmente il compito per la Repubblica di istituire scuole statali, di ogni ordine e grado. L’istituzione di scuole statali si lega a doppio filo al principio della gratuità della scuola, poiché tale gratuità può essere pienamente assicurata solo fondando l’obbligo dello Stato di istituire il servizio dell’istruzione pubblica: la presenza di scuole pubbliche costituisce in questo senso un vincolo costituzionale. La libertà di istituire scuole private, invece, viene ammessa, senza oneri per lo Stato ma per soddisfare il diverso ma fondamentale principio del pluralismo. Le norme generali saldano in una ossatura unica le plurali articolazioni dell’istruzione. I principi costituzionali in materia di istruzione rappresentano un limite negativo per il legislatore e specularmene un vincolo positivo, inteso come «obbligo per il legislatore di svolgere ed attuare il contenuto potenziale dei principi». A tali principi materiali si accompagna la previsione contenuta all’art. 33, co. 2, secondo cui «la Repubblica» detta le «norme generali sull’istruzione»... (segue)
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