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NUMERO 4 - 23/02/2011

 Che fare il 17 marzo?

La celebrazione dei 150 anni di unità italiana è avvenuta finora in sordina, relegata in ambienti culturali più volti al passato che al futuro, con uno scarso appeal sull'opinione pubblica più ampia: e se si fa mente locale non solo sullo stato delle nostre istituzioni e dei nostri partiti, ma anche sulla chiusura autoreferenziale della nostra cultura, non ci si può stupire che questo sia il punto di approdo. E tuttavia è giusto celebrare questo "tondo" e significativo anniversario dell'unità. Ma per far ciò in modo serio ed equilibrato, occorre prendere le mosse dal fatto che, al netto di tutte le polemiche sulle modalità con cui è stata raggiunta, sul ruolo dei Savoia, sui costi per il Nord, sulle conseguenze per il Sud, sul ruolo (allora inevitabilmente negativativamente impostata rispetto al tema, che incideva sulla questione del potere temporale) della Chiesa cattolica, l'unità del Paese è stato un evento indefettibile e direi quasi storicamente necessitato all'interno della vicenda della costruzione degli stati nazionali in Europa. Si tratta, come è sempre opportuno ricordare, di un processo durato più di duecento anni (se si prendono le mosse, almeno, a partire dalla pace di Westfalia nel 1648), culminato con la costruzione unitaria di Germania e Italia nella seconda metà del XIX secolo e terminato definitivamente dopo la prima guerra mondiale con la dissoluzione dell'Impero Asburgico e la costruzione di Stati nazionali anche su quell'ampia parte di territorio europo. E' in Europa, all'interno di questo lungo e tortuoso processo, che si afferma il modello dello Stato nazionale, basato sulla (tendenziale) omogeneità etnica, linguistica, religiosa, culturale della Nazione, quale collettività sottesa allo Stato...

(continua)



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