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NUMERO 5 - 09/03/2011

 L'interpretazione adeguatrice come criterio di risoluzione dei contrasti ermeneutici tra ordinamento interno e Convenzione europea dei diritti dell'uomo: profili dottrinali e giurisprudenziali

Come sosteneva Sergio P. Panunzio, il livello di integrazione normativa tra ordinamento interno ed ordinamento del Consiglio d’Europa è da considerarsi molto più debole rispetto a quello comunitario, per tre motivi sostanziali: “Innanzitutto perché si tratta di un rapporto costruito sul modello «internazionalistico»; […] in secondo luogo perché – diversamente da quanto accade in altri Paesi – l’integrazione normativa fra CEDU ed ordinamento italiano si svolge al livello della legislazione ordinaria […], cioè al livello delle leggi ordinarie che hanno autorizzato la ratifica e dato esecuzione alla Convenzione […]. In terzo luogo perché non c’è un rapporto istituzionale fra la Corte di Strasburgo ed i giudici nazionali, e meno che mai un rapporto di preminenza della prima nei confronti dei secondi […]; manca [cioè] un rinvio pregiudiziale «convenzionale»”.
In effetti, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale che si è svolto nel nostro paese negli ultimi anni, è stato tutto incentrato su tre fondamentali questioni: a) quale rango normativo riconoscere alla CEDU nel sistema delle fonti statali; b) quale rilievo ermeneutico accordare alle disposizioni della Convenzione, nell’argomentazione delle proprie decisioni da parte della Corte costituzionale italiana; ed infine c) quale rilevanza accordare, all’interpretazione delle singole disposizioni della CEDU, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo... (segue)
 



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