A dispetto del pressoché totale “silenzio mediatico” che essa ha avuto, la decisione del
TAR Liguria (n. 57 del 2012), che qui si annota, potrebbe costituire un
leading case in punto di “trasmissione del nome patronimico” tra individui maggiori di età. All’origine del contenzioso vi era stata l’istanza, presentata al Prefetto, da parte di una donna già laureata, di aggiunta, al proprio cognome, di quello di colui che si era occupato della sua istruzione e della sua crescita umana e professionale, con l’ospitarla in casa e col coinvolgerla nella propria attività professionale (questi aveva espresso, a sua volta, il desiderio che la donna potesse aggiungere il proprio cognome al suo). A tale riguardo, senza qui dover addentrarci in dettagli di carattere squisitamente amministrativistico, è opportuno rilevare come la normativa in materia (v., partic., l’art. 22 Cost. e il d.p.r. n. 396 del 3 novembre 2000, recante il “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile”, a cui nel prosieguo ci si riferirà), mentre risulta poco perspicua proprio in punto di cambiamento su base esclusivamente volontaristica del segno identificativo, testimonia, invece, piuttosto chiaramente, l'interesse ordinamentale a che un soggetto abbia (dove fosse possibile fino dal momento della sua nascita) e, specia quando lo voglia, mantenga intatta, nel tempo, un’identità di tipo anagrafico. Identità attribuita, che, per tutto il corso della vita, viene documentata negli atti di stato civile, la cui tenuta costituisce, notoriamente, una funzione primaria dello Stato, così come ribadito dal nuovo testo dell’art. 117, 2° comma, lett.
i) Cost., che attribuisce in via esclusiva allo Stato la legislazione in materia di “stato civile e anagrafi”, oltre che di cittadinanza. Proprio l’estremo rilievo di questo tipo di atti che, come ci si affretta a precisare, «non sono costitutivi dello
status, bensì servono a consentirne l’individuazione (in seno a due ambiti sociali: Stato e famiglia)» e in conseguenza di cui derivano o possono derivare diritti o obblighi in capo al soggetto, giustifica che, in principio, nella loro gestione, nessuno spazio sia lasciato all’autonomia privata: Gli atti di stato civile possono, infatti, essere posti in essere solo da soggetti pubblici (o esercenti privati di pubbliche funzioni), presentandosi, invece, privi di “certezza pubblica” se redatti da soggetti diversi privi del potere certativo o, comunque, non nell’esercizio della pubblica funzione e secondo il procedimento normativamente previsto. Ancora, per quanto in questa sede maggiormente rileva, i medesimi interessi pubblicistici possono riscontrarsi nella caratteristica di fondamentale immutabilità del nome (inteso come ricomprensivo di prenome e cognome), rappresentando la possibilità della sua modifica un’ipotesi eccezionale ed assistita da una procedura particolarmente impegnativa. Più precisamente, salvo il caso in cui l’ordinamento preveda che si possa cambiare o aggiungere un altro “nome”, quando quello originario appaia ridicolo o vergognoso (in cui è evidente l’intento di tutela della dignità stessa della persona in sé considerata e nel suo rapporto con i consociati), le situazioni in cui è reso possibile al soggetto modificare il proprio “nome” non sono state tipizzate dalla legge... (segue)
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