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NUMERO 10 - 16/05/2012

 Pareggio di bilancio: le ricadute (o le implicazioni) sui Comuni e sul sistema sanitario

La Costituzione è stata appena riscritta nella parte in cui vengono ridisegnati la struttura e il funzionamento dell’economia e della finanza pubblica nonché la formazione del bilancio, intesi a definire le regole di contenimento delle politiche economiche pubbliche in perfetta armonia con gli impegni assunti in sede comunitaria, propedeutici al rientro nei parametri convenuti deficit/Pil e debito pubblico/Pil. Ciò è avvenuto con l’introduzione del principio del pareggio di bilancio sulla base della previsione costituzionale che sancisce un preciso obbligo di “risultato” in tal senso e il rispetto del vincolo di equilibrio economico del bilancio da parte dello Stato e delle altre istituzioni sub-statali, componenti la Repubblica a mente dell’art. 114 della Costituzione. In riferimento a queste ultime, il legislatore di revisione ha posto, altresì, a loro carico l’esplicito obbligo di diretta osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento UE e, con esso, quello di assicurare la sostenibilità del debito pubblico complessivo, elevando così a principio costituzionale il concorso del sistema autonomistico agli adempimenti comunitari. Questo è quanto sancito con la legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012 (pubblicata nella G.U. n. 95 del 23 aprile 2012), che ha modificato quattro articoli fondamentali della Carta allo scopo di imporre il pareggio di bilancio pubblico (deformalizzato dal legislatore domestico in equilibrio tra entrate e spese pubbliche), tanto da tradurlo in un (quasi) obbligo giuridico da rispettare - piuttosto che in una “aspettativa” da soddisfare, per come ordinariamente ritenuto dalla più comune cultura - ovvero in un obiettivo di politica economica, così come considerato da autorevole dottrina ma anche dal legislatore, ancorché implicitamente. Quest’ultimo ha, infatti, previsto e diffuso, da tempo, apposite premialità in tal senso, da ritenersi tuttavia irragionevoli proprio perché riconosciute in favore dei rappresentanti istituzionali che avessero, semplicemente, onorato il loro dovere di buona amministrazione, piuttosto che limitarsi a sancire pesanti sanzioni, anche economiche, a carico di chi si fosse reso responsabile di malagestio, nel caso imponendo loro, così come ha invece recentemente disposto l’ottavo decreto del federalismo fiscale (d.lgs. 149/11), la interdizione decennale dalle cariche elettive o, comunque, di gestione della res publica. Considerare l’introduzione dell’anzidetto principio di pareggio di bilancio una novità assoluta e una esigenza vitale - quasi come siffatto evento legislativo non fosse più prorogabile per scongiurare il protrarsi dell’indebitamento progressivo -, non è perciò condivisibile del tutto, tenuto conto della già esistenza di un tale obbligo in capo alla pubblica amministrazione, dal momento che alla stessa è da sempre imposto l’obbligo costituzionale, previsto nell’ultimo comma del previgente art. 81, di indicare la copertura finanziaria delle nuove o maggiori spese, ovverosia le risorse per farvi fronte. Una conclusione, questa, cui è anche pervenuta la Consulta che, ancorché negando ripetutamente che esso articolo avesse costituzionalizzato il principio di pareggio di bilancio, ha più volte avuto modo di sottolineare come lo stesso avesse, comunque, insediato nell’ordinamento l’altrettanto valido principio del tendenziale equilibrio finanziario dei bilanci pubblici. Una norma di tutela, questa, rimasta tuttavia teorica a causa del perdurante difetto di attuazione della prescrizione costituzionale e degli “accorgimenti”, più o meno legittimi, messi frequentemente in atto, sia sotto il profilo normativo che amministrativo, per eluderne la portata... (segue)



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