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di Antonio Ferrara
Forma e contenuti degli statuti regionali adottati dopo le riforme
A seguito delle riforme costituzionali che a cavaliere del passaggio di millennio hanno ridefinito la forma e il contenuto degli statuti regionali, ma soprattutto dopo che la lunga fase ri-statuente è stata completata dalla maggior parte delle regioni e che il prodotto che n’è uscito è stato anche abbondantemente rodato, grazie a una serie di illuminanti pronunce della Corte costituzionale, la domanda che ci poniamo oggi osservando gli statuti regionali di seconda generazione è esattamente la stessa che già si posero i nostri maestri dopo la prima fase statuente dei primi anni settanta: gli statuti sono mere fonti di autorganizzazione o minicostituzioni? Certo, dopo la nota triade di sentenze del 2004 (372, 378 e 379) che ha detto, ripetuto e ribadito che gli statuti regionali non sono carte costituzionali, ma fonti a contenuto riservato e specializzato e che, per conseguenza, le eventuali disposizioni statutarie programmatiche che si spingono al di là del contenuto statutario necessario hanno una valenza politica o culturale ma non certo giuridica, si potrebbe pensare che la questione sia ormai superata. In verità, però, quest’orientamento della Consulta non solo non ha risolto il problema in modo del tutto convincente ma forse l’ha persino aggravato. Vediamo intanto perché questa giurisprudenza non è, per chi scrive, convincente. In primo luogo non tutte le disposizioni programmatiche sono da ritenersi prive di contenuto normativo. Si può qui portare ad esempio l’enunciato dello Statuto della Regione Campania secondo il quale “al fine di conseguire il riequilibrio della rappresentanza dei sessi, la legge elettorale regionale promuove condizioni di parità per l'accesso di uomini e donne alla carica di consigliere regionale mediante azioni positive”. Questa norma di carattere promozionale (finale, di scopo o programmatica, come si preferisca qualificarla), sebbene sia stata relegata tra le disposizioni prive di effetti normativi, ha correttamente orientato il legislatore campano nell'approvazione della legge elettorale. Quest’ultimo, grazie alla previsione della c.d. preferenza di genere che persegue il riequilibrio della rappresentanza all'interno del Consiglio regionale senza incidere sulla parità di chances delle liste e dei candidati nella competizione elettorale, ha inventato una tecnica di rimozione delle diseguaglianze di fatto, originale e innovativa, che la Corte costituzionale, chiamata in causa dal ricorso governativo, ha ritenuto pienamente legittima... (segue)
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