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NUMERO 15 - 24/07/2013

 Il significato del colpo di stato in Egitto alla prova dei 'paradossi della democrazia'

La vicenda del Presidente egiziano democraticamente eletto, Mohamed Morsi, deposto il 3 luglio 2013 da un colpo di Stato dell’esercito sotto la pressione di un imponente movimento di piazza potrebbe essere facilmente ascritta alle dinamiche tipiche della lotta per il potere politico nel Continente africano e al ruolo da sempre detenuto dai militari nella storia recente dell’Egitto senza bisogno di ulteriori commenti soprattutto in una fase ancora “calda” in cui è la cronaca a dominare. Così sarebbe se non fosse… l’Egitto. L’unico “Stato” nell’Africa sahariana (a parte il Marocco) che in un’ottica westfaliana e non sub-coloniale può essere considerato degno di questo nome, nonché potenza regionale dalla quale dipende l’equilibrio geopolitico nel Medio Oriente e non solo. Così sarebbe se il Presidente Morsi non fosse espressione dei … Fratelli Musulmani. Ovvero, la transizione democratica in Egitto dopo la Rivoluzione anti-Mubarak del gennaio 2011 era al centro di un vero e proprio esperimento di ingegneria politica, sostenuto dalla stessa amministrazione Obama, finalizzato ad evitare che la “Primavera araba” si trasformasse un’”Estate di sangue”, o peggio in una deriva senza fine verso regimi islamisti radicali, grazie... (segue)



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