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di Silvia Paladino
Reati di mafia e presunzione di necessità della custodia cautelare in carcere. Gli orientamenti della Corte costituzionale a partire dalla sentenza 25-29/3/2013, n. 57
La decisione in commento si inserisce nel filone interpretativo volto all’articolata ridefinizione del sistema di custodia cautelare, originariamente previsto dal legislatore, nel tentativo di ricondurre entro “i binari” costituzionali le misure restrittive della libertà personale applicabili ante iudicium. In relazione a tale aspetto, la Corte trasforma ancora una volta in una presunzione semplice il meccanismo assoluto di adeguatezza della sola custodia in carcere a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto e definisce con precisione i caratteri del principio di ragionevolezza. La eterogeneità delle fattispecie in concreto ravvisabili, infatti, non si presta alla riconduzione entro un paradigma generale che cristallizzi il modello cautelare in astratto previsto dal legislatore. Di conseguenza, la custodia in carcere, in quanto strumento fortemente afflittivo e qualificabile come extrema ratio nel sistema, implica necessariamente un giudizio di adeguatezza anche da parte del giudice circa le peculiarità della fattispecie sottoposta alla propria cognizione, al fine di contenere la compressione della libertà personale secondo il criterio del “minor sacrificio possibile” ed entro i limiti minimi funzionali a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto, secondo i principi costituzionali di riferimento – segnatamente il principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13, co. 1, Cost.) e la presunzione di non colpevolezza (art. 27, co. 2, Cost.). Tale assunto è stato ribadito dalla Consulta nelle recenti sentenze con cui ha ulteriormente dichiarato illegittima la regola di applicazione “obbligatoria” della custodia in carcere anche per i reati di sequestro di persona a scopo di estorsione edi violenza sessuale di gruppo... (segue)
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