La decisione della Corte di giustizia del 14 maggio 2014 sul Caso Google Spain, subito passata alle cronache come la sentenza che riconosce il famoso e sempre evocato diritto all’oblio, è per un verso certamente assai più importante, per l’altro invece molto meno innovativa di quanto si sia detto sinora, soprattutto nei commenti giornalisti. Il vero aspetto innovativo riguarda essenzialmente la qualificazione dell’attività dei motori di ricerca ai fini dell’applicazione della normativa europea sulla protezione dei dati personali. Da questo punto di vista due sono gli aspetti di particolare importanza: a) il primo, che a giudizio della Corte l’attività dei motori di ricerca, ove abbia ad oggetto anche dati personali, deve essere qualificata come trattamento di dati personali ai sensi dell’art. 2, lettera b) della direttiva 95/46 CE del Parlamento e del Consiglio del 24 ottobre del 1995; b) il secondo, che il gestore del servizio deve essere considerato come responsabile del trattamento ai sensi del medesimo art. 2 lettera d)
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