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NUMERO 19 - 15/10/2014

 L'UE nel ruolo di garante dello Stato di diritto. Riflessioni sul nuovo quadro giuridico introdotto dalla Commissione

 L'11 marzo 2014, la Commissione europea ha presentato al Parlamento e al Consiglio la Comunicazione che costituisce la risposta dell'Istituzione all'esigenza, ormai avvertita da tempo, di individuare strumenti ulteriori a quelli attualmente in essere per legittimare l'azione dell'Unione nella gestione delle crisi dello Stato di diritto in seno agli Stati membri. Benché alla data in cui si scrive il documento suddetto risulti ancora all'attenzione del Consiglio, il nuovo “quadro” giuridico con esso configurato solleva diverse rilevanti questioni attinenti, sia all'ordinamento giuridico dell'Unione, sia al rapporto tra questa e i suoi Stati membri, che rendono utile un'analisi dello stesso. Di seguito, si procede con il riconoscimento delle ragioni di carattere sostanziale che rendono importante il rispetto dello Stato di diritto in seno all'ordinamento giuridico dell'Unione. Quindi, si darà brevemente conto dei meccanismi di controllo esistenti, ponendo in rilievo i limiti degli stessi. Ricostruito lo stato dell'arte, si passerà all'analisi della c.d. procedura di “preallarme” (o “pre-articolo 7 Trattato UE”), introdotta con il nuovo “quadro” giuridico. Della stessa verranno messi in luce gli aspetti problematici che, tra l'altro, inducono a dubitare dell'effettiva competenza dell'Istituzione ad agire nel senso indicato nella procedura analizzata, in base all'art. 7 Trattato UE (TUE, in seguito). Attesa l'indiscutibile rilevanza dello Stato di diritto per la buona riuscita del processo di integrazione europea, si proverà così ad individuare un'alternativa atta a permettere una più ampia ed efficace tutela dello stesso in seno agli Stati membri e si concluderà con alcune considerazioni relative alla omogeneizzazione del concetto di Stato di diritto entro lo spazio giuridico europeo. Nell'ambito dell'ordinamento giuridico dell'Unione, la rilevanza accordata allo Stato di diritto è divenuta crescente nel corso del tempo. Nelle versioni originarie dei Trattati istitutivi delle Comunità europee non compariva alcun riferimento ad esso, neppure tra i requisiti richiesti per l'ingresso di nuovi Stati, né veniva contemplata alcuna forma di ingerenza da parte delle Comunità negli affari interni degli Stati membri. La prima esplicita affermazione inerente alla rilevanza dello Stato di diritto risale alla Dichiarazione sull'identità europea, adottata dal Consiglio europeo di Copenaghen del 1978, contestualmente alla Dichiarazione sulla democrazia, relativa alle elezioni dirette dei membri del Parlamento europeo. Nel periodo che intercorre tra la conclusione dei Trattati di Roma e l'adozione del Trattato di Maastricht, il rispetto dello Stato di diritto andava invece assumendo una rilevanza centrale, soprattutto nell'ambito delle relazioni esterne. La Comunità, infatti, riconoscendo e facendo propri taluni caratteri fondamentali, quali il rispetto di quest'ultimo, iniziava a richiederne con sistematicità l'osservanza, sia agli Stati terzi candidati all'adesione, sia a quelli interessati a instaurare rapporti commerciali e di collaborazione con essa. Nel medesimo periodo, prendeva altresì avvio la giurisprudenza della Corte di giustizia che contribuirà in maniera rilevante a definire i caratteri di quel concetto di Stato di diritto europeo di cui, in base a quanto disposto nella Comunicazione ivi esaminata, la Commissione si fa garante entro gli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Tuttavia, è nella fase di integrazione che si apre con la firma del Trattato di Maastricht e perdura sino alla conclusione del Trattato di Lisbona che il rispetto dello Stato di diritto acquisisce la rilevanza cruciale di cui gode attualmente. Un primo formale richiamo ad esso nel corpo dei Trattati risale proprio al Trattato di Maastricht, ove il suo riconoscimento, insieme alla democrazia, ai diritti e alle libertà fondamentali, veniva proclamato con forza nel Preambolo dello stesso. Va osservato che il riferimento allo Stato di diritto in quel contesto storico-politico aveva soprattutto una valenza simbolica: terminato il periodo della Guerra fredda, gli Stati membri dell'Unione europea si impegnavano a farsi promotori dei tre principi cardine, su cui andava fondandosi la “nuova” Europa. Non a caso, infatti, con il Trattato di Maastricht veniva formalizzata all'allora art. 177, par. 2 TCE la politica della Comunità europea nell'ambito della cooperazione allo sviluppo volta a sviluppare e consolidare i suddetti principi che, come ricordato, già dagli anni Settanta, informavano le relazioni esterne della stessa. Parimenti, l'ex art. 11 TUE assegnava alla politica estera e di sicurezza comune dell'Unione il perseguimento dei medesimi obiettivi. Un notevole sviluppo al riguardo si è avuto con la conclusione del Trattato di Amsterdam, nel 1997, con il quale, i diritti, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto venivano qualificati come i principi fondanti dell'Unione e descritti all'art. 6, par.1 TUE come comuni a tutti gli Stati membri. Con tale Trattato, inoltre, il rispetto dello Stato di diritto era individuato come una formale condizione richiesta agli Stati terzi che intendessero entrare a far parte dell'Unione. In forza alla previgente versione dell'art. 49 TUE, al fine di aderire ad essa, oltre all'essere Stati europei, occorreva altresì rispettarne i principi fondanti, di cui all'art. 6, par.1 TUE. L'art. 49 TUE, rimasto pressoché invariato anche in seguito al Trattato di Lisbona, enfatizza l'importanza dei criteri politici tra quelli individuati nel corso del Consiglio europeo di Copenaghen del 1993, durante il quale si era deciso di affrontare la gestione delle domande d'ammissione provenienti dagli Stati dell'Europa orientale richiedendo loro il rispetto di talune condizioni di carattere politico ed economico, oltre all'acquisizione del c.d. acquis comunitario. In particolare, con il Trattato di Amsterdam, il riconoscimento ed il perdurante rispetto dei tre principi cardine dell'Unione veniva formalmente richiesto anche agli Stati già membri della stessa, prevedendo all'art. 7 TUE un ruolo attivo in capo alle Istituzioni al riguardo. Infine, il Trattato di Lisbona ha novellato l'art. 2 TUE che, nella versione vigente, qualifica lo Stato di diritto come uno dei valori fondanti dell'Unione, il quale, peraltro, viene altresì incluso tra i principi di diritto dell'Unione nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali che, come noto, con il medesimo Trattato di Lisbona, ha ormai acquisito il medesimo valore giuridico dei Trattati. L'attuale versione dell'articolo 2 TUE, che riproduce il disposto dell'art. I-2 del fallito Trattato-Costituzione, si fonda sulla previgente versione dell'art. 6 TUE. Esso costituisce il nucleo di quello che può essere qualificato come il “processo costituente” dell'Unione e ne rappresenta il fondamento valoriale. Al primo paragrafo dello stesso si legge, infatti, che l'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Il cambio di denominazione da “principi” a “valori” introdotto con il Trattato di Lisbona appare significativo sia sotto il profilo politico che giuridico. La disposizione in esame qualifica come “valori” i richiamati “criteri di Copenhagen”; il cui rispetto, in ragione della portata giuridica vincolante che si deve riconoscere all'art. 2, par. 1 TUE, letto in combinato con l'art. 7 TUE, si estende in termini precettivi, non solo alle Istituzioni, organi e organismi dell'Unione, ma altresì agli Stati membri della stessa.



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