Il disegno di legge regionale di riforma del sistema degli enti locali del FVG appare indirizzato a non prendere in considerazione come modello positivo l’istituto della città metropolitana, pur se vi sarebbe la possibilità di far diventare tale il capoluogo di regione. Nel corso del dibattito pubblico in merito a questa possibilità, attualmente abortita, si è posto in luce che la situazione di fatto dei territori non è favorevole alla realizzazione della CM, in quanto col comune di Trieste dovrebbero unirsi i piccoli comuni sloveni del Carso, con la difficoltà di relazioni per l’eterogeneità degli enti che verrebbero a d essere posti in connessione. Il ddl regionale di riforma si basa sul dato del futuro superamento delle province, con legge costituzionale, prevedendo, a regole costituzionali vigenti, un dimagrimento delle competenze, che transitano al livello comunale o regionale. L’esigenza di ridurre le competenze della provincia vien ricollegata alla trasformazione di essa in ente di secondo grado da parte della legge regionale 2/2014. Le Comunità montane della Regione vengono immediatamente eliminate e, se coincidenti con le Unioni, trasformate in Unioni di comuni. Il d.d.l . sul riordino delle autonomie in FVG, approvato in via preliminare dalla Giunta, sarà in discussione in Consiglio regionale nel mese di novembre. Si espongono sinteticamente le linee del ddl sul riordino delle autonomie locali, presentato in Giunta. Il riordino del sistema delle autonomie come prospettato dal d.d.l. si basa sul passaggio di gran parte delle funzioni attualmente esercitate dalle province o alla Regione FVG, ai comuni ed alle unioni di comuni che si prospettano come enti di area vasta (art. 24 ddl). Si prevede un Piano di dismissioni delle funzioni provinciali la cui proposta è disposta dalla Provincia (artt. 26, 27 ddl). Esso individua, in relazione ad ogni scadenza prevista per il trasferimento di funzioni provinciali procedimenti, risorse, rapporti giuridici pendenti e modalità di trasferimento e la ripartizione tra gli enti destinatari. La riforma sembra dunque mirare ad uno svuotamento delle competenze provinciali, a favore di entità regolate come unioni di comuni: l’adesione dei Comuni ad una Unione è obbligatoria per i Comuni sino a 5000 abitanti o a 3000, se appartenenti a Comunità montane. L’adesione ad un Unione di comuni per i comuni da 5000 o 3000 abitanti (art. 5 commi 1 e 2) costituisce condizione per la piena fruizione dei trasferimenti regionali per il finanziamento dei bilanci. La partecipazione dei comuni con popolazione superiore ai 30000 abitanti è facoltativa, senza conseguenze di natura finanziaria (art. 9 d. lgs 2 gennaio 1997, n. 9, Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione FVG). L’Unione dei Comuni dovrà conseguire “significativi risparmi di spesa e di livelli di efficacia ed efficienza nella gestione”: in caso contrario la Regione potrà applicare misure di penalizzazione di natura finanziaria, mentre in caso di risparmi di spesa potrà riconoscere incentivi annuali. Con il Piano di riordino territoriale la Giunta determina i confini delle Unioni territoriali di nuova istituzione e identifica i comuni che scelgono di non aderivi: consiste di una predisposizione di una proposta di aggregazione di comuni da parte della Giunta salva la possibilità per i comuni di chiedere un’aggregazione diversa. Il Piano di riordino territoriale da la delimitazione territoriale delle nuove Unioni di comuni e l’elenco degli enti che non vi aderiscono. Le Unioni sono chiamate alla gestione di funzioni attualmente comunali, provinciali e regionali e di quelle delle comunità montane. Le Unioni di comuni introdotte con il ddl in oggetto sono disciplinate da apposito statuto e da regolamenti (artt. 8, 9 d.d.l.). LO Statuto disciplina in particolare le funzioni ed i compiti amministrativi e le modalità di recesso dei Comuni (art. 8 ddl). Organi dell’Unione l’Assemblea, il Presidente e Collegio di revisori, formati da membri delle amministrazioni in carica, senza che siano erogati emolumenti (art. 10). L’Assemblea, costituita da tutti i sindaci dei Comuni aderenti all’Unione( il cui voto ha “peso” diverso a seconda della popolazione comunale) è organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo dell’Unione (art. 11 ddl).Il Presidente eletto dall’Assemblea tra i suoi componenti, rappresenta l’Unione e sovrintende al funzionamento degli uffici, attribuisce gli incarichi dirigenziali, nomina i responsabili dei servizi, nomina i rappresentanti dell’Unione in enti, aziende, istituzioni (art.12 ddl). Il Piano dell’Unione (art. 15 ddl) approvato dall’Assemblea entro 90 giorni dall’atto dell’insediamento è l’atto di programma che costituisce l’atto di indirizzo generale delle politiche amministrative dell’Unione ed assegna gli obiettivi prioritari da conseguire. Si distingue (artt. 19-20 ddl.) tra le funzioni esercitate dai comuni e quelle che passano alle Unioni, con la clausola che i comuni possono delegare all’Unione funzioni ulteriori rispetto a quelle indicate (art. 22ddl). Negli allegati alla legge (a-c) si indicano, con individuazione analitica, le funzioni provinciali mantenute alle province , quelle trasferite alla Regione e quelle trasferite ai Comuni. Le funzioni elencate nell’allegato A sono mantenute in capo alle province sino al superamento delle stesse, con l’entrata in vigore delle disposizioni costituzionali che determineranno il venir meno della garanzia costituzionale. Si prevede, infine, un Programma annuale delle fusioni dei comuni (art. 7 d.d.l.): approvato dalla Giunta regionale, previo parere dei Consigli comunali interessati. I comuni possono sul progetto di fusione attivare le forme di consultazione popolare previste dai propri statuti e regolamenti (art. 7 co9 5 ddl). Il Piano delle fusioni è approvato dalla Giunta regionale e redatto anche sulla base di proposte provenienti dal territorio. In base alle disposizioni sul piano, la fusione potrà avvenire sulla base dell’ iniziativa legislativa della Giunta regionale, per quei comuni che per dimensioni o assetto finanziario od organizzativo non siano in grado di garantire lo sviluppo del proprio territorio.
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