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NUMERO 21 - 12/11/2014

 Riflessione critica sulla decretazione d’urgenza

Nell’ultimo quindicennio, la prassi della decretazione d’urgenza in Italia ha raggiunto un livello tale che è stata definita “una degenerazione in grado di oscurare principi costituzionali di rilevanza primaria”, fino a divenire la “modalità ordinaria attraverso la quale si producono norme primarie nell’ordinamento”, espropriando il titolare legittimo della potestà legislativa statale, ossia il Parlamento, il quale non mostra alcun segnale di reazione, quasi rassegnato ad accettare l’abuso. Si viene così a configurarsi un eccentrico procedimento legislativo, una specie di monstrum, dove si riversa nel contenitore “decreto-legge”, immediatamente operativo, una serie eterogenea di disposizioni che producono norme precarie, destinate a venir meno se non sono stabilizzate da parte della legge di conversione entro sessanta giorni. Se, infatti, il decreto-legge non viene convertito decade, e tutto ciò che si è compiuto in forza di questo è come se fosse stato compiuto senza un base legale; la decadenza travolge tutti gli effetti prodotti dal decreto-legge. Si pone, quindi, una questione rilevante di certezza del diritto, accanto a quella di mantenere un equilibrio istituzionale tra Parlamento e Governo. Infatti, fin dai lavori dell’Assemblea costituente, si sottolinea la questione dell’esclusività della spettanza parlamentare del potere legislativo, aspetto sul quale i costituenti intendono segnare una radicale cesura rispetto sia all’esperienza statutaria sia alla legislazione fascista. La disposizione di apertura dell’art. 77 riafferma la titolarità in capo alle Camere del potere normativo primario, con una precisa ponderazione di ogni termine e di ogni inciso al fine di limitare l’intervento governativo a contesti e contenuti eccezionali. La prassi corrente si pone in contrasto con i principi ispiratori dell’art. 77 Cost. e una delle giustificazioni che spesso vengono date dinanzi alla  proliferazione di atti di decretazione d’urgenza si basa sulla considerazione dell’accresciuta quantità di compiti dello Stato e della varietà di interessi e di situazioni presenti in una società complessa come quella italiana, che richiedono una pronta disciplina giuridica da parte del Governo. Di conseguenza, il lungo dibattito sulla decretazione d’urgenza si è sviluppato proprio sulla constatazione dell’inevitabilità dell’espansione dei poteri normativi dell’Esecutivo, con modificazioni non solo della forma di governo ma anche della forma di Stato, ossia il fondamento stesso dell’autorità statale, mettendo così a rischio la certezza e l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini. Rispetto al modello costituzionale, quindi, si nota un uso improprio del decreto-legge, sia nel caso in cui si sceglie tale strumento mentre sarebbe sufficiente un regolamento, sia quando si preferisce anticipare l’efficacia di normative di ampio raggio senza attendere i tempi del normale percorso legislativo parlamentare. Tenuto presente questo, l’abuso può essere anche inteso come un discostarsi da un uso corretto, esercitare una potestà o un diritto in contrasto con lo scopo per il quale viene attribuito; ecco quindi un altro elemento utile, il contrasto con uno scopo, nel caso specifico, con le finalità poste dalla Costituzione, quando, all’art. 77, parla di “casi straordinari di necessità e d’urgenza” e di “provvedimenti provvisori con forza di legge”. In queste prime riflessioni, si cercherà di evidenziare tali aspetti, argomentando che l’art. 77 Cost. delinea una fonte primaria non propriamente e non interamente eguale alla legge formale per la provvisorietà e la precarietà della sua efficacia, per la sua incapacità di fondare situazioni giuridicamente consolidate, per la sua inidoneità a valere come disciplina di una serie indeterminata di casi futuri. Ne deriva che dietro o, meglio, dentro la nozione costituzionale di decreto-legge  è possibile scorgere il carattere provvedimentale... (segue)

 



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