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NUMERO 1 - 14/01/2015

 Un 'problema nazionale'. Spunti ricostruttivi in tema di 'istruzione' e 'istruzione e… formazione professionale', tra Stato e Regioni, a partire dalla giurisprudenza costituzionale

Già lungo il corso di tutta l’età statutaria, il tema dell’istruzione, osservato attraverso il prisma dei diversi livelli territoriali di potere, ha sollevato, in sede politica non meno che dottrinaria, controversie vivaci e ricorrenti. Tale ricca e poliedrica varietà di posizioni si riverbera altresì nel dibattito svoltosi in quella sede intorno al “futuro” art. 117 Cost. Appare sufficiente, infatti, porre a raffronto il trittico formato dagli artt. 109, 110 e 111 del Progetto di Costituzione, approvato dalla Commissione per la Costituzione e contenente, rispettivamente, la “scuola artigiana”, l’“istruzione tecnico-professionale” e l’“istruzione elementare e media”, con il testo poi definitivamente approvato per avvedersi di come sia prevalso in quella sede un orientamento viepiù limitativo nei confronti di uno spazio di intervento normativo regionale in subiecta materia. Com’è noto, infatti, nella versione finale dell’art. 117 Cost. alberga(va)no solamente, tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente o bipartita, due settori liminari, quali l’“istruzione artigiana e professionale” e, con un emendamento presentato last minute da T. Perassi, l’“assistenza scolastica”, ogni altra competenza – avrebbe detto retrospettivamente la Corte costituzionale – “essendo esercitata dalla Regione su delega statale. Lo Stato, conformemente ai caratteri propri di tale strumento organizzativo, poteva dunque trattenere per sé qualsiasi profilo di disciplina della materia, con l’effetto che le funzioni delegate alle Regioni potevano risultare frammentarie e disorganiche” (sent. n. 13/2004, § 3). Nel pluridecennale percorso di attuazione della Carta repubblicana del 1947, le attribuzioni amministrative statali in materia di “istruzione artigiana e professionale” vengono trasferite alle Regione ad autonomia ordinaria prima con il d.P.R. n. 10/1972 e po

i con gli artt. 35 ss. d.P.R. n. 616/1977; quelle relative all’“assistenza scolastica” prima con il d.P.R. n. 3/1972 e poi con gli artt. 42 ss. d.P.R. n. 616/1977. Vent’anni dopo, il d.lgs. n. 112/1998 determina ex novo gli ambiti di intervento amministrativo degli enti territoriali, distinguendo però – questa volta – tra l’“istruzione scolastica” (artt. 135 ss.) e la “formazione professionale” (artt. 140 ss.), dicotomia destinata, peraltro, ad essere sostanzialmente relativizzata – e non anche “rafforza[ta]” – nel “nuovo” assetto disposto con l’art. 3 l. cost. n. 3/2001 (come si vedrà infra, § 2.2). La giurisprudenza costituzionale sui due titoli di competenza variamente riconducibili all’istruzione, contenuti nel “vecchio” art. 117 Cost., appare meritevole di menzione soprattutto per la ricorrente distinzione tra l’istruzione tout court e l’istruzione artigiana e professionale, operazione ermeneutica preliminare e necessaria al fine di perimetrare (e, così, salvaguardare) un settore di sicuro intervento legislativo regionale. La prima pronuncia rilevante, infatti, è del 1956 ed ha come oggetto una legge della Provincia di Bolzano in tema di artigianato e di formazione professionale artigiana. In tale singolare decisione – che riprova duramente la previsione dell’obbligo di iscrizione in un apposito albo per l’esercizio dell’attività dell’impresa artigiana, perché in contrasto con un “indirizzo fondamentale di libera concorrenza che può ben essere ritenuto uno dei principii del nostro ordinamento giuridico” (sent. n. 6/1956), da cui emergerebbe nientemeno che una “concezione liberale” (sent. n. 6/1956) dello stesso – nessun censura investe, invece, le disposizioni provinciali in tema di formazione professionale artigiana, le quali non contrastano né “con l’interesse nazionale o di altre Regioni” (sent. n. 6/1956), né “con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica” (sent. n. 6/1956). Nel lento fluire dei decenni, in parallelo con il progressivo trasferimento delle funzioni statali alle Regioni ad autonomia ordinaria, la Corte costituzionale ritorna su questa materia con una serie di pronunce quantitativamente non episodiche, ancorché insuscettibili di atteggiarsi, come si vedrà di seguito, a corpus uniforme e strutturato. A proposito dell’“istruzione artigiana e professionale”, infatti, essa precisa che questa “super[a] l’ambito del concetto comunemente accolto in precedenza, in quanto ora si caratterizza per la diretta finalizzazione all’acquisizione di nozioni necessarie sul piano operativo per l’immediato esercizio di attività tecnico-pratiche, anche se non riconducibili ai concetti tradizionali di arti e mestieri” (sent. n. 89/1977, § 4); ma, allo stesso tempo, essa “si distingue dalla istruzione in senso lato, attinente all’ordinamento scolastico e… di competenza statale; la quale, pur se impartisce conoscenze tecniche utili per l’esercizio di una o più professioni, ha come scopo la complessiva formazione della personalità” (sent. n. 89/1977, § 4). Da tali considerazioni di ordine generale, il giudice costituzionale fa discendere, in estrema sintesi, che alle Regioni incombe, in subiecta materia, “disciplinare e… organizzare attività di aggiornamento, qualificazione e perfezionamento” (sent. n. 82/1997, § 3), con particolare riferimento a “la definizione dei programmi e l’organizzazione dei corsi… salva la presenza di possibili forme di coordinamento e controllo centrale dirette a garantire ‘standards’ minimi quantitativi e qualitativi, relativi ai corsi, nonché verifiche relative alla fase della valutazione finale del risultato della frequenza ai corsi, ove questa comporti il rilascio di titoli abilitanti su scala nazionale” (sent. n. 372/1989, § 5); e tutto ciò a fortiori se i relativi corsi abilitano, mediante un esame finale pratico, all’esercizio di una professione (sentt. n. 628/1988; n. 346/1991; n. 21/1994) o costituiscono un requisito per l’accesso a un albo o ruolo o, ancora, assurgono a presupposto per l’esercizio di una professione (sent. n. 458/1994). Giova anticipare, a questo punto, che entrambi i due profili appena indicati saranno soggetti, anche in seguito alla novella dell’art. 117 Cost., il primo, a molteplici interferenze competenziali con la materia delle “professioni” (infra, § 6.2) e, il secondo, alla riconduzione della “futura” materia dell’“istruzione e… formazione professionale” sotto l’ombrello dettato dalle “norme generali dell’istruzione”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 117, comma 2, lett. n), Cost. (infra, § 2.2). Con riferimento, invece, all’assistenza scolastica – la quale “si distingue dalla generica assistenza sociale in quanto si concreta… in prestazioni aventi scopi particolari e determinati diretti ad aiutare e potenziare la vita scolastica degli studenti nei suoi vari aspetti e nelle sue varie forme, a rendere possibile, ad agevolare e incrementare la loro attività di studio, la loro preparazione e formazione” (sent. n. 250/1974, § 3) – emerge, nel complesso, un indirizzo giurisprudenziale complessivamente riduttivo nei confronti di tale ambito competenziale (e, dunque, del perimetro di potestà legislativa esercitabile dalle Regioni). In questa cornice, viene ritenuta costituzionalmente non illegittima, in particolare, una disciplina statale che prevede la possibilità, per le università e gli istituti superiori, di richiedere agli studenti contributi per iniziative di carattere culturale, sportivo e sociale, in quanto “oggettivamente diverse dalle attività di assistenza in senso proprio (quali quelle connesse all’erogazione di borse di studio, di servizi di mensa, di assistenza medica ecc.) riferibili alle opere universitarie” (sent. n. 478/1988, § 2) ed esse sole di precipua spettanza regionale. Successivamente, il giudice costituzionale, da un lato, riconosce alle Regioni la facoltà di istituire enti pubblici locali non territoriali in virtù di tale ambito competenziale (sent. n. 437/1990), ma, dall’altro, manda assolte da censure di illegittimità tutte le disposizioni, allora impugnate, della l. n. 390/1991 sul diritto agli studi universitari, anche nella parte in cui impongono alle Regioni forme organizzative obbligate (sent. n. 281/1992). Ad avviso della Corte costituzionale, infatti, “tale disciplina concorre indubbiamente a limitare la sfera di competenza spettante alle Regioni, ai sensi dell’art. 117 Cost., in materia di ‘enti amministrativi dipendenti’, ma trova la sua giustificazione – oltre che nella particolare natura degli organismi in esame (chiamati a sostituire le opere universitarie previste dalla precedente legislazione statale) – nell’esigenza di operare un giusto contemperamento tra gli interessi connessi a due diverse sfere di autonomia (regionale e universitaria), ambedue dotate di copertura costituzionale” (sent. n. 281/1992, § 4); contemperamento che la legge statale de qua avrebbe svolto invero correttamente (sent. n. 281/1992, § 3)... (segue)



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