È da oltre un decennio che le autonomie territoriali sia italiane che spagnole sono alla ricerca, attraverso la riforma dei loro statuti, di uno spazio politico sempre maggiore all’interno di un processo di integrazione tra ordinamenti che è noto come costituzionalismo multilivello. Al di là di quanto prescritto dai testi costituzionali italiani e spagnoli, nella redazione degli statuti i legislatori statutari, avendo a mente proprio le radici del costituzionalismo, hanno deciso di aggiungere al classico contenuto dell’atto fonte oggetto di riforma, id est la forma di governo e l’organizzazione dell’ente, anche un contenuto sostanziale di princìpi e di diritti, che possiamo fin da ora aggettivare come statutari. Stante questo dato fattuale, il presente scritto si compone di due parti: la prima si concentra sulle conseguenze ordinamentali che la presenza dei diritti produce negli statuti – e che a parer nostro è da intendersi come incostituzionale– e sulle ragioni che sono alla base della mancata declaratoria d’incostituzionalità da parte delle adite corti costituzionali; la seconda –rilevata proprio l’assenza di qualsiasi decisione di illegittimità– si sofferma sulle concrete fattispecie dei diritti sociali statutari, anche attraverso una comparazione interna delle differenti realtà territoriali all’interno degli ordinamenti costituzionali. L’analisi prende sin da subito le mosse da una affermazione nota ed evidente, vale a dire quella per cui fra i princìpi supremi coessenziali alla forma di Stato sia italiana che spagnola vi sono il principio di unità e quello di autonomia: princìpi, anche in tensione tra di loro, che, in una costante dialettica politico-costituzionale, sono alla perenne ricerca di un bilanciamento che non comporti il sacrificio (irragionevole) di uno a fronte di un maggior riconoscimento dell’altro. A garanzia del principio di autonomia vi è senz’altro –costituendone l’aspetto peculiare– il riconoscimento della potestà statutaria, id est di quella competenza che l’autonomia territoriale ha al fine di darsi un proprio statuto, e quindi la possibilità –costituzionalmente riconosciuta– di poter normare, seppur nel rispetto di limiti e vincoli anch’essi costituzionalmente previsti, su ampie e diverse materie. Se ogni statuto ha per definitionem un contenuto, una problematica risalente nel tempo (ma noi qui limiteremo la nostra analisi solo alla fase più recente dei regionalismi italiano e spagnolo) è la quaestio di quanti (e quali) contenuti può avere uno statuto. In dottrina si è parlato, a tal proposito, di un duplice contenuto statutario. Analizzando gli statuti delle Regioni ordinarie e delle Comunidades Autónomas (d’ora in poi CCAA), ci si rende conto, in primo luogo, che essi contengono ciò che le Carte costituzionali individuano come loro contenuto (il riferimento normativo è all’art. 123 Cost. per l’Italia e all’art. 147 Cost. per la Spagna) e, inoltre, che questo è stato sempre accompagnato da un contenuto ulteriore, cioè non riconducibile ai disposti costituzionali appena richiamati: tale contenuto, eccedente quello costituzionalmente richiesto, è stato definito, appunto, come eventuale. La ricerca ha ad oggetto due ordinamenti le cui similitudini costituzionali ne permettono la comparazione. Entrambi i modelli rientrano nella forma di Stato regionale, che trova nel testo costituzionale la definizione tassativa dei contenuti statutari. In entrambi i Paesi, i legislatori regionali statutari hanno inteso il contenuto dello statuto delle Regioni e delle CCAA non limitato al c.d. contenuto necessario, ma esteso anche a quello eventuale. Dunque, se con la nozione di contenuto ‘necessario’ ci si riferisce a quello specificato nel testo costituzionale, con la nozione di contenuto ‘ulteriore’ o ‘eventuale’ ci si riferisce a tutti quei contenuti che, pur se presenti nei testi statutari, non sono riconducibili all’elenco delle materie che lo statuto deve contenere per come definito in Costituzione... (segue)
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