La Corte di Giustizia, con la sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo (cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13), si è nuovamente pronunciata sull’applicazione al pubblico impiego della direttiva n. 99/70/CE concernente la disciplina del contratto a termine. La novità riguarda il fatto che stavolta il comparto “sotto osservazione” è la Scuola pubblica italiana: un comparto alquanto complesso, in cui vengono in gioco particolari esigenze, espressione di molteplici valori, anche intrecciati, che rilevano pure con riferimento alle assunzioni a termine. Si tratta, per un verso, dei valori/principi di cui all’art. 97 della nostra Costituzione - riguardanti tutte le pubbliche amministrazioni - che qui si raccordano con gli artt. 33 e 34 della Carta costituzionale a tutela, in sintesi, dell’istruzione nel complesso dei suoi risvolti (dalla “essenzialità”, alla continuità, alla diffusione, alle implicazioni finanziarie); per altro verso, della consueta fondamentale istanza di tutela del “lavoro”, qui intesa come richiesta di “stabilità” da parte dei lavoratori e, quindi, di continuità dell’attività lavorativa. Ma, proprio nella Scuola pubblica, tale ultima istanza sembra non essere stata correttamente interpretata poiché, negli anni, la reiterazione dei contratti a termine ha indubbiamente generato un forte contesto di precarietà. I procedimenti principali della causa in questione riguardano infatti, oltre alla sig.ra Mascolo, diversi lavoratori ciascuno assunto, in qualità di docenti o di personale tecnico-amministrativo, presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con più contratti a tempo determinato protrattisi, nell’insieme, per periodi di tempo molto estesi. Ritenendo illegittima la successione dei contratti, detti lavoratori chiedono, in via principale, la trasformazione degli stessi in un unico contratto a tempo indeterminato e, di conseguenza, la loro immissione in ruolo (nonché il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra la scadenza di un contratto a tempo determinato e l’entrata in vigore di quello successivo) e, in subordine, il risarcimento del danno subito. I giudici di rinvio sollevano più questioni di illegittimità della normativa inerente alla disciplina delle assunzioni con contratto a termine nella Scuola pubblica italiana. Esse attengono ai seguenti profili: violazione della direttiva n. 99/70/CE, tanto con riferimento alla clausola 4 (principio di non discriminazione) quanto alla clausola 5 (misure per prevenire gli abusi); violazione della direttiva n. 91/533/CE, riguardo all’obbligo di informazione del lavoratore delle condizioni applicabili al rapporto di lavoro; violazione del principio di leale collaborazione e di numerosi altri principi generali del diritto dell’Unione. La Corte di Giustizia, una volta unificati i ricorsi, dichiara, in primo luogo, irricevibili molte di tali questioni, affermandone la natura meramente ipotetica; in secondo luogo concentra la decisione esclusivamente sulla presunta violazione della clausola 5, punto 1, della direttiva n. 99/70/CE, che - è bene ricordarlo sin da ora - “per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato” obbliga gli stati membri ad “introdurre, (…) in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti”. Proprio per questo motivo, l’interpretazione della clausola 5 costituirà il fulcro delle pagine che seguono. Più precisamente, l’analisi verterà anzitutto sui motivi: a) che hanno portato la Corte a non rinvenire nessuna delle misure indicate dalla clausola 5 nella regolamentazione di talune assunzioni a termine nella Scuola (supplenze relative al cd. organico di diritto, riguardanti i posti vacanti e disponibili, e al personale ATA); b) che hanno indotto la Corte a ritenere del tutto inadeguato il sistema sanzionatorio predisposto in materia per questo specifico comparto. Successivamente, seppure la Corte si sia pronunciata con esclusivo riferimento alle supplenze concernenti l’organico di diritto, dalla lettura complessiva della Mascolo si trarranno indicazioni utili al fine di valutare anche la legittimità degli altri tipi di assunzioni a termine per il personale docente, ossia le supplenze riferite all’organico di fatto e le supplenze espressamente denominate “temporanee”. Infine si rifletterà sulla cruciale questione della stabilizzazione dei precari della Scuola, che - si badi - non è stata risolta dalla pronuncia in parola, differentemente da quanto annunciato nei titoli di diversi quotidiani, benché (come si vedrà) la decisione della Corte, nell’ordito della sua elaborazione in materia, avrebbe probabilmente consentito anche ulteriori osservazioni sul delicato e specifico punto della conversione dei contratti a termine in rapporti “stabili” finanche a livello generale e non solo nella Scuola... (segue)
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