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NUMERO 3 - 11/02/2015

 Il controllo parlamentare sui Governi degli Stati membri dell'Unione europea, tra trasparenza e privacy

Ringrazio moltissimo per l’invito a queste importanti giornate di studio sui rapporti tra Governo e Parlamento: per un cultore di diritto parlamentare, essere invitati a parlare di questi temi, in un luogo così carico di significati quale è Bilbao, è un grandissimo onore. Credo doveroso iniziare questa esposizione delimitando il campo di indagine. Non vorrei che la collocazione e il bel titolo che è stato assegnato a questa relazione (“Transparencia, control y privacidad en las relaciones Gobierno-Parlamento en el Derecho Comparado”) suscitassero aspettative troppo elevate. Altri studiosi, in passato – curiosamente, sempre italiani in terra spagnola – sono stati chiamati a svolgere il compito di offrire un panorama comparato sulle tendenze della funzione di controllo su un piano generale; o sui grandi trend evolutivi che caratterizzano il ruolo delle Camere. Ed è evidente che non posso certo neppure tentare, qui, operazioni di tal fatta. Una prima delimitazione, perciò, riguarda l’ambito che si prenderà in considerazione nell’indagine comparatistica. Questa non assumerà, infatti, una visione globale, ma sarà limitata ai soli Stati membri dell’Unione europea, e concentrata, senza pretesa di sistematicità, soprattutto su alcuni grandi Stati, come Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna. Come vedremo, questa limitazione si spiega, oltre che con le limitate conoscenze di chi vi parla (che è essenzialmente uno studioso dell’ordinamento italiano), alla luce della lettura che viene qui proposta del diritto costituzionale (e quindi anche del diritto parlamentare) dell’Unione europea. Una seconda delimitazione concerne l’approccio scelto, che sarà quello tipico del diritto costituzionale, del quale – come si è preavvertito un attimo or sono – il diritto parlamentare rappresenta una parte essenziale: quella, per dirla con una formula ormai abbastanza diffusa nella dottrina italiana, che può considerarsi in qualche modo l’avanguardia del diritto costituzionale, in quanto quella più vicina alla sfera della politica. Se si vuole, a quel “diritto politico” che la dottrina spagnola ha in più fasi coltivato, e che molti sottolineano avere i caratteri propri di un ossimoro (o comunque di una tensione, destinata a rimanere irrisolta). Queste delimitazioni si fondano su un paio di opzioni di fondo, che è opportuno esplicitare sin da subito. La prima opzione riguarda l’accoglimento della tesi, recentemente formulata dalla dottrina politologica, secondo cui quella di Stato membro dell’Unione europea non è soltanto una categoria giuridica meramente descrittiva, ma fa riferimento ad una specifica “forma di Stato”, differenziabile sul piano concettuale dalle precedenti forme di Stato, e in particolare dallo Stato-nazione: per effetto dell’integrazione europea, si è in sostanza determinato un mutamento dello Stato-nazione, per il fatto che questo è ora parte di una comunità più ampia, ed è soggetto a limiti che, diversamente da quanto accadeva per lo Stato-nazione (meglio, per lo Stato liberale), sono concepiti non come interne espressioni della sovranità, bensì come vincoli esterni nei confronti della sovranità popolare. In altri termini, il potere nazionale non è più limitato dalla volontà popolare, ma questa è limitata attraverso vincoli e regole esterne... (segue)



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