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NUMERO 10 - 20/05/2015

 La revisione del Titolo V della Costituzione: nuovi equilibri tra livelli di governo e il coordinamento della finanza pubblica

La revisione in corso del titolo V della parte seconda della Costituzione, nell’ambito di un più ampio intervento di riforma costituzionale, diretta a modificare anche gli originari assetti della repubblica parlamentare, incide nuovamente, e a distanza di soli 14 anni, sul delicato equilibrio di quella che era considerata, nella relazione di accompagnamento al progetto di Costituzione, approntato dal Comitato di redazione, approvato dalla Commissione dei 75 e presentato all’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1947, l’innovazione più profonda introdotta dalla Costituzione, costituita dall’ordinamento strutturale dello Stato “su basi di autonomia”. Si riteneva che il decentramento e il riconoscimento del ruolo delle autonomie locali avessero un ruolo fondamentale nella costruzione di un ordinamento fondato su basi democratiche. Accanto e a completamento del principio di sovranità popolare, e aldilà delle dispute terminologiche verosimilmente dovute all’ambiguità del principio e tale da provocare letture contrastanti (governo del popolo e governo per il popolo), ciò che appariva necessario ai costituenti era non tanto “portare il Governo alla porta degli amministrati”, quanto porre “gli amministrati nel governo di se medesimo”. A ben vedere, la stessa etimologia della parola “democrazia” richiama i due termini di popolo e potere, e seppure con diverse e possibili interpretazioni (con popolo si è inteso “i tutti” o “i molti” ed anche “i più” o “la folla”), ciò che appare comune è il ritenere che la democrazia “si deve ispirare al principio di maggioranza limitata o moderata. Altrimenti vive per un giorno e comincia a morire il giorno dopo”. I costituenti sembravano consci di tale necessità ed hanno provato a costruire assetti istituzionali, con pesi e contrappesi, nel rispetto delle prerogative dei diversi poteri statuali e nella convinzione che un corretto equilibrio tra gli stessi, e tra il potere centrale e le autonomie locali, favorisse la partecipazione democratica a partire dalle istanze locali. Si era evidentemente consci dell’enorme e delicata problematicità connessa alla nascita delle Regioni dal punto di vista politico, amministrativo e finanziario e già si affacciava l’idea che il regionalismo, sia pure differenziato, con elementi, a dir così, federalistici, non potesse mettere in discussione la sovranità statale, a tutela dell’unità nazionale... (segue)



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