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NUMERO 10 - 20/05/2015

 Una sentenza che lascia due seri motivi di perplessità

Il primo dubbio di fondo su questa sentenza consiste nella completa assenza di riferimenti a un parametro, quello dell'articolo 81 della Costituzione (in combinato disposto col nuovo art. 97 Cost.) che vincolano all'obiettivo della stabilità di bilancio, parametro che invece era stato decisivo nella sentenza 10/2015. Ovviamente ho ben presente le possibili controdeduzioni a questa osservazione, che si riassumono in questo argomento: un conto è una tassa che incide su imprese e un altro sui diritti sociali di persone che si trovano in pensione. Tuttavia questo argomento andrebbe esplicitato perché non citare quel parametro finisce per dare l'impressione che esso si consideri come una mera sovrastruttura e non come il riflesso dei diritti di altre persone. La stabilità di bilancio, che si ricollega anche a vincoli comunitari di affidabilità del Paese, intende tutelare i diritti delle generazioni future e, nel complesso, i diritti di fasce deboli della popolazione che sarebbero messi in discussione ben più di quelli di altri da una crisi di tenuta del sistema. Altrimenti si rischia di accreditare una concezione dei diritti che, in ultima analisi, privilegia quelli degli insiders rispetto a quelli degli outsiders. Sempre in questa chiave sembrano preoccupanti sia le notizie secondo cui la Corte non disporrebbe più (e "da tempo") di un sistema di previsione degli effetti di bilancio delle proprie decisioni sia quelle per cui l'Avvocatura dello Stato non avrebbe prodotto stime puntuali o, comunque, non le avrebbe utilizzate come argomenti giuridici. I numeri, tanto più dopo la riforma dell'art. 81, non sono argomenti extra-giuridici, sempre che per diritto si intenda una tecnica di risoluzione dei conflitti e sempre che non si voglia cadere in una visione irrealistica secondo cui sarebbe possibile espandere le tutele di alcuni senza ridurre di fatto quelle di altri. Come non è accettabile la visione secondo cui le norme, specie quelle costituzionali, sarebbero sovrastrutturali o mere petizioni di principio, così non sarebbe accettabile porsi il problema delle tutele senza considerarne gli effetti sul sistema nel suo complesso. Sintetizzo quindi questa obiezione: la Corte poteva ben decidere in senso diverso dalla sentenza 10/2015, ma non doveva omettere di richiamare gli articoli 81 e 97, quanto meno per dire che la tutela di un minimo vitale per le pensioni medio-basse deve comunque comportare di caricare su altri i vincoli di stabilità di bilancio che restano comunque efficaci per tutti, Corte compresa. La stabilità dei bilanci è il nome concreto del principio di responsabilità a cui nessun organo, anche il più autonomo, può abdicare. Il secondo serio motivo discende dal primo: sembra esservi una grave sproporzione tra le motivazioni e il dispositivo. Le prime, centrate sulla eccessiva lunghezza temporale del blocco e sul suo carattere troppo secco, non modulato, hanno come perno il minimo vitale dei diritti sociali, la tutela dei "titolari di trattamenti previdenziali modesti". Il secondo, invece, finisce, almeno nell'immediato, per rimuovere il limite per tutti i pensionati in modo indiscriminato, spia peraltro di una tendenza più generale di sentenze eccessivamente invasive verso il Parlamento. Da quelle motivazioni, che in sostanza vorrebbero imporre di costruire un nuovo tetto, posso far discendere subito lo scoperchiamento della casa togliendo qualsiasi tetto? Un effetto immediato che in nome dell'art. 3 secondo comma della Costituzione (uguaglianza sostanziale limitata però alla platea dei soli insiders, peraltro a prescindere da contributi versati) farebbe però violare l'articolo 81 e quindi porterebbe a una procedura di infrazione a livello europeo. Insomma tra le motivazioni e il dispositivo sembra essersi inserita contraddittoriamente un'ideologia dei diritti senza costo e senza limiti, quando invece rispetto a quelle motivazioni sarebbe stata più conseguente un'additiva di principio. Con questo salto logico, in altri termini, la Corte sembra dire che essa è svincolata dal principio di responsabilità che invece è scaricato per intero su Governo, Presidenza della Repubblica e Parlamento ed esattamente in quest'ordine.  Sui primi due perché proprio l'aver evitato l'additiva di principio comporta fatalmente l'adozione di un decreto-legge per evitare pesanti conseguenze immediate a livello europeo e sul terzo perché la conversione non sarà comunque facile, avendo offerto a parlamentari e gruppi più sensibili alle tentazioni della demagogia l'occasione per poter sostenere l'attuazione del dispositivo (dare tutto a tutti) costi quel che costi anziché quelli della motivazione (la tutela del minimo vitale). L'ideologia dei diritti senza costo tornerà quindi, con grande risonanza, nelle aule parlamentari e nei media realizzando così un paradosso: le Corti  dovevano essere una sorta di contrappeso aristocratico moderno (un'aristocrazia del sapere) rispetto a possibili scorciatoie demagogiche e populiste insite nel suffragio universale, ma quel dispositivo porta invece con eterogenesi dei fini a obbligare il Governo pro tempore e la sua maggioranza a farsi carico da soli del principio di responsabilità facendo leva sulle motivazioni della sentenza, mentre il dispositivo sarà invocato a proprio sostegno dai demagoghi di turno: Un esito che nessuno avrebbe auspicato e che a ben vedere non era né scontato né inevitabile



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