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NUMERO 10 - 20/05/2015

 L'interpretazione conforme a CEDU: i lineamenti del modello costituzionale, i suoi più rilevanti scostamenti registratisi nell'esperienza, gli auspicabili rimedi

Trattare dell’interpretazione conforme a CEDU, così come ad altre fonti ancora (internazionali e non), del suo fondamento, delle condizioni e dei limiti del suo svolgimento, equivale in buona sostanza a ripensare all’idea stessa di Costituzione, alla sua forza, alla funzione che è chiamata ad esercitare nel presente contesto segnato da una integrazione sovranazionale avanzata e da vincoli viepiù numerosi e pressanti discendenti dalla Comunità internazionale. Questo scenario è destinato a restare ora sullo sfondo; ragioni di spazio costringono infatti a circoscrivere lo studio unicamente a ciò che appare esser direttamente conducente allo scopo di mettere a fuoco il tema qui di specifico interesse, tralasciandone altri di ordine generale il cui esame nondimeno sarebbe di estremo interesse. Conviene subito interrogarsi circa la preliminare e cruciale questione se l’interpretazione conforme alla Convenzione si distingua dall’interpretazione orientata verso il diritto internazionale in genere e, specificamente, da quella che si volge verso altre Carte internazionali dei diritti. La risposta che ci è data dalla giurisprudenza costituzionale, specie dopo la riforma del titolo V della parte II della Costituzione operata nel 2001 che – come si sa – ha introdotto il principio del rispetto del diritto internazionale da parte delle leggi di Stato e Regioni, non lascia adito a dubbi. Il giudice costituzionale ha infatti appuntato l’attenzione specificamente sul disposto di cui all’art. 117, I c., cost., che ha dato voce al principio suddetto, a partire dalle famose sentenze “gemelle” del 2007, nn. 348 e 349, relative al rilievo della CEDU in ambito interno. Un disposto in cui la condizione della Convenzione, al pari di quella di qualsivoglia altra Carta internazionale dei diritti, appare appiattita, in tutto e per tutto assimilata a quella di ogni altro documento normativo della Comunità internazionale; ed appiattita appare essere altresì la condizione del diritto dell’Unione (o – piace a me dire – “eurounitario”) e quella della stessa Costituzione: fonti tutte accomunate dall’essere comunque protette avverso gli attacchi loro mossi dalle leggi comuni, statali o regionali che siano. Sappiamo però che, dal punto di vista costituzionale, qui specificamente rilevante, alle fonti stesse non è riservato un regime sotto ogni aspetto indifferenziato, sol che si pensi che la Costituzione è, e resta, il fondamento della efficacia interna delle fonti di origine esterna, le quali da se sole non avrebbero altrimenti la forza per imporsi, e che alle norme eurounitarie ed a quelle internazionali non scritte è comunemente riconosciuta una efficacia “paracostituzionale” (o costituzionale tout court) di cui, secondo la dottrina e la giurisprudenza corrente, sarebbero sprovviste le fonti internazionali pattizie (con la sola eccezione appunto dei trattati eurounitari)... (segue)



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