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NUMERO 18 - 30/09/2015

 27 settembre 2015: le 'elezioni plebiscitarie' di Catalogna

I risultati si prestano a varie interpretazioni e, stando alle dichiarazioni dei diversi esponenti politici, si potrebbe avere la sensazione, come spesso accade, che a vincere siano state tutte le forze in campo. In realtà coloro che, in termini evidenti, hanno perso non mancano. In primo luogo il Partido Popular (PP) che, al governo statale con una solida maggioranza assoluta, ha ottenuto in Catalogna appena l’8,5% dei voti e 11 seggi (8 in meno rispetto al 2012). La linea dell’immobilismo, tesa sostanzialmente a negare il rilievo ormai assunto dalla questione catalana, se può pagare, in termini di consenso, a livello statale, si rivela fallimentare nella Comunità autonoma. Del tutto inutili – anzi addirittura controproducenti – sono stati il cambio alla guida del partito in vista del delicato impegno elettorale e la diretta partecipazione alla campagna del Presidente del Governo Mariano Rajoy, che ha provato a far la leva anche sul sostegno di influenti leaders politici internazionali. A perdere, decisamente, è anche Catalunya Sí que es Pot (CSQP), l’emanazione catalana di quel Podemos visto da molti, quantomeno in una breve fase, come il nuovo protagonista della politica spagnola e reduce dalla conquista del comune di Barcellona. Come in quest’ultima circostanza Barcelona en Comú, anche CSQP è in realtà una coalizione il cui soggetto principale, accanto al partito di Pablo Iglesias, è costituito da Iniciativa per Catalunya Verds - Esquerra Unida i Alternativa (ICV-EUiA): un partito consolidato dello scenario catalano con alle spalle la partecipazione alle due esperienze di governo del cd. tripartit (2003-2010) alla guida della Generalitat (con il Partit dels Socialistes de Catalunya–PSC e Esquerra Republicana de Catalunya-ERC). Alle elezioni del 27 settembre, il cartello elettorale CSQP ha conseguito 11 seggi (8,94% di voti), addirittura due in meno di quelli assegnati, nel 2012, alla sola ICV-EUiA (9,89 % dei voti). Pure Unió Democràtica de Catalunya (UDC) ha pagato a caro prezzo la rottura della storica coalizione con Convergència Democràtica de Catalunya (CDC): dal 1979 i due partiti si erano sempre presentati insieme (Convergència i Unió-CiU) alle politiche e alle regionali. Unió non ha attenuto rappresentanza parlamentare per effetto di un 2,51% di voti e del mancato superamento della soglia del 3% in tutte le circoscrizioni elettorali.  Alla lista degli sconfitti andrebbe aggiunto il PSC: nonostante la massiccia partecipazione al voto (la più elevata alle elezioni catalane) i socialisti hanno conseguito il peggior risultato di sempre in termini sia di voti (12,74%), sia di seggi (16). Eppure in molti, almeno a caldo, hanno visto in tale esito più una tenuta che non un ulteriore arretramento rispetto al minimo storico già registrato nel 2012. Tale lettura può essere accolta se come termine di raffronto si sceglie di assumere non i precedenti risultati elettorali, ma i numerosi sondaggi che davano i socialisti catalani in caduta libera. Allo stesso tempo, ci sono dei chiari vincitori: Ciutadans (C’s), che è riuscito a catalizzare il voto unionista, quasi triplicando i seggi del 2012 (da 9 a 25) e si proietta verso un ruolo di primo piano nella politica spagnola; e la Candidatura d'Unitat Popular (CUP), partito di sinistra anticapitalista e indipendentista, che passa da 3 a 10 seggi e diviene decisiva, come si dirà, per la prospettiva secessionista. Particolarmente significativo il fatto che una formazione cosi radicale abbia ottenuto soltanto diecimila voti (circa) in meno del PP... (segue)



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