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NUMERO 19 - 14/10/2015

 Dove va il bilanciamento degli interessi? Osservazioni sulle sentenze 10 e 155 del 2015

Il bilanciamento degli interessi è stato definito da Gustavo Zagrebelsky il «pane quotidiano» della Corte costituzionale. Non a caso, la prima pronuncia della storia della Corte costituzionale annullò una norma del t.u.ll.p.s. (che limitava la libertà di manifestazione del pensiero, richiedendo l’autorizzazione della questura per la distribuzione di stampati nella strada pubblica e per l’uso di altoparlanti per comunicazioni al pubblico) dichiarando che «il concetto di limite è insito nel concetto di diritto e che nell'ambito dell'ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, perché possano coesistere nell'ordinata convivenza civile», ma che la norma de qua non era rivolta a tutelare la «tranquillità pubblica», attribuendo invece alla p.a. «poteri discrezionali illimitati». All’epoca la Corte non usò la parola “bilanciamento”, in quanto la limitazione dei diritti per effetto di altri interessi scorreva sui binari dell’interpretazione sistematica, ma la sostanza non cambia. Perché il bilanciamento è il «pane quotidiano» della Corte costituzionale? I motivi sono diversi. In primo luogo, la nostra Costituzione presuppone il bilanciamento perché è essa stessa un bilanciamento, un compromesso, in quanto dà tutela agli interessi contrapposti delle diverse parti sociali e politiche, dello Stato e degli altri enti territoriali, degli individui e della collettività, avendo come scopo l'integrazione pluralista della società. Certe volte la Costituzione opera essa stessa il bilanciamento, attraverso regole (v. l’art. 117, co. 2, lett. m), o l’art. 13, co. 3); più spesso, però, la Costituzione prescrive al legislatore lo scopo di tutelare i diversi interessi con distinte disposizioni di principio e spetta poi al legislatore contemperarli. I principi costituzionali lasciano spazio alle scelte del legislatore: il legislatore fa prevalere certi interessi, in relazione agli orientamenti della maggioranza, e queste scelte sono soggette al controllo di ragionevolezza operato dalla Corte costituzionale, controllo che ha lo scopo di «garantire continuativamente i contenuti dell’unità politica». Il legislatore, dunque, risolve i conflitti fra i diversi interessi (individuali e collettivi) che emergono dalla società e i bilanciamenti legislativi danno spesso origine a questioni di costituzionalità, che portano ad un giudizio della Corte costituzionale sulla legittimità del fine, sulla necessità (che comprende il criterio del less restrictive means) e idoneità della norma a conseguirlo, sulla proporzionalità dell’intervento limitativo rispetto al motivo giustificativo. Preciso che non comprendo, tra i criteri di controllo sul bilanciamento, quello del rispetto del «contenuto minimo» del diritto perché, se una norma costituzionale su un diritto prescrive inderogabilmente di tutelarne il contenuto minimo, quella è una regola, non un principio, e quindi siamo al di fuori del bilanciamento (v. infra, § 2). Come mai le scelte legislative sono spesso contestate? La prima ragione sta nella scelta dell’accesso in via incidentale, che coinvolge i privati nella rilevazione dei vizi (portando alla luce anche le micro-violazioni) e consente una verifica sulla legge spostata nel tempo rispetto alla legge stessa e collegata ad un caso concreto: il passaggio del tempo può portare a rendere irragionevole un bilanciamento che all’inizio non lo era (per mutamenti sociali, normativi o tecnici) ed il collegamento con il caso concreto può far emergere squilibri che, in astratto, non emergevano, perché la legge soffre del suo stesso carattere di atto generale e astratto, che non può prevedere tutte le possibili vicende. Un’altra ragione sta nel fatto che col tempo è stato riconosciuto rilievo costituzionale ad interessi non espressamente menzionati in Costituzione oppure si sono individuati profili nuovi in interessi “nominati”: la moltiplicazione degli interessi costituzionali ha aumentato le occasioni di interferenza e, dunque, la necessità dei bilanciamenti. Non sto alludendo ai c.d. “nuovi diritti”, ormai diventati “classici”, ma a casi recenti nei quali la Corte costituzionale ha individuato interessi costituzionali “atipici” (nel senso di non nominati in Costituzione): ad es., il diritto delle coppie omosessuali alla regolazione giuridica della propria convivenza, ricavato dall'art. 2 Cost.; gli interessi coinvolti dalla rettificazione di sesso di un coniuge; il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini, ricavato dall’art. 2 Cost. come componente del diritto all’identità; la generale libertà di autodeterminazione, sulla scia di quanto espressamente riconosciuto nella Costituzione tedesca e in quella statunitense; gli interessi coinvolti nel caso “Stamina”; il principio dell’affidamento, considerato un aspetto del principio di ragionevolezza e connaturato allo Stato di diritto, che conduce a limitare la possibilità per le leggi di incidere sui diritti quesiti. Infine, i bilanciamenti legislativi sono spesso contestati perché, in alcuni casi, sono difficili: questo accade, ad esempio, quando c’è una «disputa fondamentale» sull’intensità della limitazione o sul peso del motivo giustificativo (come nel caso dell’aborto o in quelli attinenti al “fine vita”). Nei giudizi di costituzionalità delle leggi, però, il bilanciamento degli interessi si sta diffondendo anche al di là di queste situazioni. La Corte costituzionale, cioè, utilizza l’istituto del bilanciamento non per la necessità di giudicare bilanciamenti effettuati dal legislatore, ma a prescindere da ciò. Prima di illustrare questi casi di bilanciamento “non tradizionale”, però, è opportuna una premessa sulla teoria del bilanciamento che si accoglie come presupposto del ragionamento... (segue)



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