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NUMERO 20 - 28/10/2015

 La nuova disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale in attesa dell'esercizio della delega

L'art. 19 della l.n. 124 del 2015 ha un solo comma articolato su diverse lettere e contiene un'ampia delega al governo per la riscrittura della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale. La norma approvata tiene conto di numerose modifiche intercorse durante il dibattito parlamentare che hanno esteso l'ambito di applicazione originariamente definito. Lo spettro di intervento potenziale del legislatore delegato è davvero molto significativo: si va dall'armonizzazione delle normative di settore alla disciplina differenziata tra prestazioni di servizio e regole che attengono a reti e impianti, dalle questioni relative agli affidamenti e alla gestione alla regolazione con riferimento anche ai diversi livelli di governo coinvolti, dall'applicazione specifica delle regole sulla trasparenza e sulle incompatibilità degli incarichi agli strumenti di tutela degli utenti. Si tratta, in altre parole, di un intervento normativo globale e massiccio dello stato in materia di servizi pubblici locali che supera di molto l'esigenza, peraltro non obbligata, di dare un seguito in positivo all'esito referendario del 2011 e alle sue successive vicende e che appare perfino più ambizioso dei già non esigui interventi che si sono succeduti dal 2001 in poi in materia di servizi pubblici locali. L'ampiezza dei contenuti della delega è così notevole da rendere incerto il ritrovamento dei titoli di legittimazione che sostengono tale scelta, anche in considerazione del fatto che il legislatore neppure si preoccupa di dare esplicite indicazioni in questo senso. Vi sono chiari riferimenti impliciti di alcune disposizioni che però sembrano collidere o, comunque, non sembrano del tutto coerentemente composte con altre. Così, evidentemente, la lett. a) del comma primo riconduce la disciplina tra le funzioni fondamentali da assegnare a comuni e città metropolitane secondo l'art. 117, c. 2, lett. p) cost., assegnando così un primato all'autonomia degli enti locali di gestire e regolare in libertà tali servizi in armonia con gli esiti referendari già menzionati e protetti dalla Corte costituzionale con la nota sent. n. 199 del 2012, tenendo adeguatamente conto dei bisogni delle comunità locali, delle condizioni di accessibilità dei servizi, delle condizioni di continuità e qualità degli stessi. Tale titolo non sembra esaurire ogni fonte di legittimazione dell'intervento legislativo, dato che la definizione delle tutele degli utenti, presente nella lett. h) del comma 1, appare corrispondere a un altro titolo di legittimazione, probabilmente riconducibile all'art. 117, c. 2, lett. l) cost., riferito alla disciplina sulla giurisdizione e sulle norme processuali. Vi sono però altre disposizioni dove il legislatore sembra ricorrere, invece, al diverso titolo di legittimazione della tutela della concorrenza (art. 117, c. 2, lett. e)). Il nesso implicito si può trovare nella lettera b) che fa riferimento alla soppressione di qualunque regime di esclusiva anche in corso, pur a esito di ricognizione; nella lettera l) dove si prevede la netta distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e quella di gestione; nella lettera m) a proposito dei regimi di proprietà e di gestione di reti, impianti e altre dotazioni. Infine, altri titoli di legittimazione potrebbero essere ascritti sempre implicitamente alla definizione dell'ordinamento civile (art. 117, c. 2, lett. l)) o alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, c. 2, lett. m)) o al coordinamento informativo statistico e informatico dei dati (art. 117, c. 2, lett. r)). Potrebbero essere incluse tra i primi titoli la previsione di strumenti non giurisdizionali di tutela degli utenti stabilita dalla lett. o) e l'armonizzazione della disciplina dei servizi pubblici locali per quanto riguarda i rapporti di lavoro, come previsto dalla lett. u); tra i livelli essenziali potrebbero essere comprese le disposizioni che alludono alle forme di consultazione dei cittadini e alla partecipazione per la formulazione di direttive che incidono sulla qualità e sui costi dei sevizi, come previsto dalla lett. p) o quelle relative alla trasparenza e pubblicità dei contratti di servizio, stabilite nella lett. u); mentre, infine, nel coordinamento informativo potrebbe essere inclusa la disposizione relativa agli strumenti di rilevazione dei dati economici e industriali, degli obblighi di servizio pubblico e degli standard di qualità, definita nella lett. v). Si tratta di ricostruzioni possibili ma che restano problematiche. Peraltro estranee all'elenco menzionato sono altre disposizioni di più incerta collocazione, su cui anche l'ipotesi di riconduzione ai titoli di legittimazione appare un azzardo. Vi sono poi non trascurabili problemi di coordinamento con normative già vigenti: l'art. 3-bis, d.l. 138 del 2011 che in combinazione con altre norme successive obbliga alla costituzione di ATO per la gestione dei servizi pubblici a rete; la flessibile disciplina sulle città metropolitane, garantita dalla l. n. 56 del 2014, che consente livelli di differenziazione nell'articolazione dei sevizi. È certamente vero che molte di queste incertezze potranno essere composte in sede di applicazione della delega e dunque trovare nel decreto legislativo la sua placida risoluzione, ma almeno tre profili di contraddizione appaiono difficilmente sanabili per cui sarà interessante verificare l'attuazione. Il primo concerne il solito tema delle forme di gestione dei servizi. La delega, come già accennato, sembra privilegiare tanto il principio dell'autonomia degli enti locali quanto quello della concorrenza a detrimento dell'autonomia locale. La combinazione delle lettere c) ed e) ne è un esempio: da un lato, si richiama la necessità di rispettare i principi dell'ordinamento europeo, tra cui quello di auto-produzione, «anche in tutti i casi in cui non sussistano i presupposti della concorrenza nel mercato», dall'altra si fa riferimento alla necessità di organizzare i servizi pubblici locali in base ai principi di adeguatezza, sussidiarietà e proporzionalità in conformità alle «direttive europee», menzionando esplicitamente i servizi idrici, supposto oggetto esclusivo dell'esito referendario, a esclusione di tale disciplina unitaria. In definitiva, si oscilla tra la riproposizione delle soluzioni a gestione tipicizzata, che ha caratterizzato a lungo la disciplina dei servizi pubblici locali in Italia, e soluzioni che invece lasciano margine di manovra e di innovazione agli enti locali. Si dovrà verificare se il legislatore delegato troverà una soluzione equilibrata tra questi due estremi non limitata solo ai servizi idrici, sapendo sin da subito che l'esclusione totale di una delle due soluzioni prospettate potrebbe correre il rischio di eccesso di delega. In questo senso è possibile che le nuove direttive europee, in particolare quella sulla concessione secondo dir. 23 del 2014, consentano al legislatore di trovare equilibri maggiormente sostenibili rispetto al passato tra la tutela della concorrenza e il principio di autonomia e innovazione sociale che gli enti locali possono intraprendere. A lasciare dubbi in proposito sono però gli scarsi riferimenti rintracciabili nel testo di delega. La seconda contraddizione riguarda le lettere h) ed o). La prima riguarda la delega a definire le modalità di tutela degli utenti dei servizi pubblici locali, la seconda la previsione di adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi. La differenza tra le due previsioni normative apparentemente risiederebbe nella natura delle tutele assicurate: in un caso si fa riferimento a quella giurisdizionale, nell'altro a quella non giurisdizionale. Tuttavia, a un approfondimento maggiore questa distinzione non sembrerebbe tenere. Se fosse così, infatti, dovremmo supporre che il nostro ordinamento stia per introdurre una tutela giurisdizionale differenziata per gli utenti dei servizi pubblici locali rispetto agli utenti dei servizi pubblici in generale. Anche a voler ammettere, forzando la natura delle cose, che possano essere distinte le posizioni degli utenti dei servizi di interesse economico generale da quelli di interesse non economico, resta davvero difficile che una soluzione possa resistere a obiezioni di ragionevolezza per la diversificazione dei casi degli utenti di servizi pubblici locali da servizi pubblici che locali non sono (si pensi al servizio postale, per esempio). Se, però, si esclude che la lettera h) si riferisca alle tutele giurisdizionali per non incorrere nell'obiezione di violazione del principio di uguaglianza cade la distinzione con la lettera o) e, forse, anche con la lettera p) se si volesse intendere che il rafforzamento delle tutele degli utenti passa per il potenziamento degli strumenti di partecipazione. Da qui la contraddizione delle due disposizioni, senza trascurare che la materia relativa alla tutela non giurisdizionale degli utenti, così come il rafforzamento degli strumenti di partecipazione potrebbe spettare legittimamente al legislatore regionale che forse in questo modo vede eccessivamente limitata la propria potestà legislativa... (segue)



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