Il tema dei rapporti interistituzionali tra Governo e Assemblea, con tutto il vivace dibattito che lo accompagna da oltre un decennio, accomuna la Sicilia a tutte le Regioni italiane. In breve, la discussione è legata al passaggio da una forma di governo «parlamentare», con la centralità dell’Assemblea/Consiglio regionale, ad una di tipo «presidenziale» fondata sull’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, il Presidente/Governatore demo-eletto, vera architrave della nuova architettura regionale. Ma non solo di questo si tratta. Per comprendere appieno, infatti, il valore del nuovo impianto di tipo presidenziale serve guardare a due profili del processo di riforma politico istituzionale nel quale esso si innesta. Il primo profilo riguarda quella che parafrasando Giliberto Capano a proposito delle riforme amministrative (1992) potremmo indicare come l’«intensità» del cambiamento (quanto mira alla soluzione di continuità rispetto allo status quo), coniugandosi con la riforma in senso maggioritario del sistema elettorale in luogo di quello proporzionale. Un sistema maggioritario, questo, che si propone(va) anche di strappare dalle mani dei partiti «alcuni pezzi della funzione di selezione della classe politica» (F. Musella, 2009, p. 50). Forse non è inutile ricordare qui l’insofferenza, diffusasi in modo generalizzato dopo «tangentopoli», verso la «partitocrazia» intesa come degenerazione della democrazia proporzionale e del «consociativismo» in salsa italiana – nell’Italia della Prima Repubblica della conventio ad excludendum, il consociativismo non è stato quello trasparente del sistema statunitense ma quello «occulto» consumatosi nelle commissioni parlamentari (O. Massari, 1995, p. 20) – che assegnava un ruolo enorme ai partiti facendone i reali sovrani dell’intero processo politico. Partiti che «non essendo controllati e vincolati dall’esterno, cioè da processi elettorali competitivi, non solo sono i decisori esclusivi, ma sono anche strutture chiuse, verticistiche, in definitiva oligarchie. […] collegate a tutte le altre oligarchie economiche, sociali, professionali, eccetera, e persino con i poteri occulti e criminali» (O. Massari, 1995, p. 23). Il secondo profilo del nuovo impianto di tipo presidenziale riguarda, invece, quello che (sempre parafrasando Capano) potremmo dire dell’«ampiezza» (le dimensioni degli apparati, delle procedure, delle funzioni e delle funzioni coinvolte) della riforma, dal momento che investe tutto l’assetto istituzionale delle autonomie locali a partire – primo laboratorio in ordine di tempo – dai Comuni (e dalle Province), con l’elezione diretta del Sindaco (e del Presidente della Provincia). Un processo, quest’ultimo, che sommato al trasferimento di poteri dal livello nazionale al livello regionale che ha convinto alcuni studiosi a scorgere qui i primi segnali di una trasformazione dello Stato in chiave «federale» (S. Ventura, 2002; B. Baldi, 2006). La lettura combinata di questi due profili segnala dunque il carattere che potremmo dire ormai «inarrestabile» dell’intero processo di riforma politico istituzionale, e con esso della sua versione (o declinazione) in ambito regionale. Vale la pena ricordare, infatti, che esso data dalla metà degli anni ’80 (nel 1985 viene pubblicato il libro di Gianfranco Pasquino dall’assai significativo titolo Restituire lo scettro al Principe), subisce poi una forte accelerazione nella prima metà degli anni ’90, investendo appunto il sistema elettorale degli enti locali, per poi finalmente approdare alla legge 1/1999 che stabilisce l’elezione diretta del Presidente/Governatore della Regione. Di più. Il surplus di legittimazione popolare del vertice dell’esecutivo è ulteriormente accentuato dal cosiddetto «listino del Presidente». Oltre al fatto di essere eletto in maniera contestuale all’Assemblea e in figura di capolista della coalizione, così, il Presidente può contare su condizioni di partenza particolarmente favorevoli grazie al «premio di maggioranza» – non nuovo in Italia – per la coalizione vincente che dovrebbe costituire una «seria garanzia di corrispondenza tra forze al governo e colore politico dell’assemblea» (F. Musella, 2009, p. 73). L’ultimo quindicennio, infine, è stato contraddistinto dal fitto susseguirsi di nuovi statuti approvati dalle regioni (ad eccezione, ovviamente, della Sicilia il cui Statuto, manco a dirlo, risale al 1945, ben settant’anni fa!). L’esito generale è stato quello di un ulteriore rafforzamento del presidenzialismo in versione regionale, spostando ancora in avanti il baricentro del potere decisionale dall’Assemblea verso l’organo di governo. Le conseguenze di questa situazione sono note: disagio di molti per lo smarrimento del ruolo tradizionale dell’assemblea legislativa; insofferenza verso l’elezione diretta del Presidente e la “nuova” forma di governo regionale. Tutte condizioni, queste, che segnalano la presenza di una vera e propria frattura istituzionale fra assemblea e vertice dell’esecutivo... (segue)
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