L’apposizione di un tetto all’importo complessivo dei benefici sociali percepibili, applicato in modo generalizzato ed uniforme a tutti i nuclei familiari, costituisce una scelta politica di bilanciamento tra diritti sociali, da un lato, ed esigenze di equilibrio di bilancio ed incentivazione alla ricerca di un impiego, dall’altro. Bilanciamento particolarmente sensibile in quanto le modalità di definizione degli importi massimi rendono tale limitazione sospettabile di indiretta discriminatorietà; ciò in particolare nel momento in cui l’indifferenza al numero di minori presenti nel nucleo familiare e alla condizione mono-genitoriale o meno dello stesso finisce per determinare, statisticamente, un maggior pregiudizio per i richiedenti sussidio di genere femminile. La Corte Suprema del Regno Unito con sentenza del 18 marzo 2015 si è pronunciata sull’ammissibilità di un simile benefit cap – quale istituto che costituisce elemento centrale nell’ambito della riforma del modello di assistenza sociale realizzata dal Governo Cameron – riconoscendone la meritevolezza dei fini e la proporzionalità delle misure regolatorie concrete. Più in particolare, l’istituto del benefit cap è stato introdotto dal Welfare Reform Act 2012, ed attuato tramite il Benefit Cap (Housing Benefit) Regulations 2012. Se la formulazione generale del provvedimento legislativo – che abilita in modo generico all’introduzione di un tetto ai benefici sociali – non è stata contestata di per sé nell’ambito del giudizio annotato, sono invece le previsioni di dettaglio del regolamento che, fissando le modalità di calcolo del tetto, hanno dato luogo a sospetti di un funzionamento “di fatto” indirettamente discriminatorio. Il tetto è infatti applicabile quando – in astratto – l’ammontare complessivo dei benefici sociali (comprensivi di housing benefit, child benefit e child tax credit) di cui è titolare un individuo o nucleo familiare eccede un ammontare che rappresenta il reddito medio settimanale di una famiglia lavoratrice britannica, al netto dell’imposizione fiscale e previdenziale. Tale tetto, tuttavia, è applicato indipendentemente dal numero dei figli, e indipendentemente dalla composizione mono-genitoriale o meno della famiglia, così che – in concreto – l’esito è quello di colpire in proporzione molto maggiore i beneficiari di genere femminile; ciò in quanto i nuclei familiari con un solo genitore sono statisticamente composti prevalentemente da donne e sono al contempo, per livello di bisogno, i percettori del maggior numero cumulativo di sussidi. La scelta di operare in modo indifferenziato non è tuttavia immotivata, e le ragioni addotte dal Governo e portate nel dibattito parlamentare – meritevoli di tutela – si contrapporrebbero quindi agli effetti indirettamente discriminatori... (segue)
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