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NUMERO 24 - 23/12/2015

 Il giudice amministrativo e la tutela dei diritti dell'uomo

Un’importante presenza del panorama giuridico francese è indubbiamente costituita da Denis Salas che, con il suo originale approccio a metà strada tra diritto, letteratura e storia ha spesso dato vita ad originali analisi della giustizia penale e dell’intero sistema giuridico; a chi scrive, interessa soffermare l’attenzione su un’originale “incursione” nel mondo della giustizia amministrativa. Punto di partenza è Les Cent mots de la justice che viene a costituire un vocabolario davvero efficace ed originale della giustizia, in una visione che non tralascia voci biografiche relative a personaggi-chiave degli ultimi anni (particolarmente vive e interessanti le voci relative a Robert Badinter e a Jean Carbonnier), materiali narrativi della più diversa provenienza (dagli apologhi del Talmud ad alcune leggende dei nativi americani) e di propria creazione che pongono il sistema giudiziario (soprattutto penale) in una luce differente e, soprattutto, più umana (ad avviso di chi scrive, particolarmente significative, in questa prospettiva, appaiono le voci Dossier, Émotion e Inconscient); il cultore del diritto amministrativo rimane però essenzialmente sorpreso dall’approccio scelto per raccontare la giustizia amministrativa, alla voce Conseil d’État. Al di là di alcune considerazioni sparse su indipendenza, tecniche motivazionali e di sindacato del giudice amministrativo (molto penetranti e che saranno successivamente richiamate, anche se in breve), l’approccio alla giustizia amministrativa passa attraverso la crisi più importante di legittimità subita dall’istituto e costituita dal cd. affaire Canal, che ha portato il Conseil d’État ad uno scontro con il potere politico senza precedenti e tale da metterne in forse la stessa sopravvivenza. In termini generali, il Conseil d’État ha, infatti, seguito, durante la guerra d’Algeria, un percorso giurisprudenziale in sintonia con il potere politico e tale da non mettere in discussione alcune decisioni che potevano entrare il contrasto con la tutela dei diritti dell’uomo, come quelle relative ai camps d’internement  ed alle assignations à résidence; a poco più di dieci giorni dal referendum di approvazione degli accordi di Evian da parte del popolo francese ed in tempi molto brevi, il Conseil d’État cambia però decisamente atteggiamento e interviene, <<sur requête d’André Canal, trésorier de l’OAS, condamné à mort par la Cour militaire de justice…(et) n’hésite  pas à annuler l’ordonnance qui l’a créée. L’absence de voie de recours constitue, selon lui, une violation manifeste des principes généraux du droit>>. La decisione del Conseil d’État suscita un vero e proprio scandalo ed una forte reazione del potere politico: <<De Gaulle déclare en tout cas cet arrêt « nul et non avenu ». Un ministre ajoute que le Conseil d’État n’est pas juge de l’Administration mais sa « conscience interieure». Le Gouvernement en appelle au « sens des responsabilités » de « ses » juges fonctionnaires>> ;  reazione che, alla fine, trova espressione, dalla parte del potere politico, in una riforma tesa a <<atténuer l’autonomie de ….membres (du Conseil d’État) afin de les rendre plus proches des «réalités administratives» >> e, per quello che riguarda i membri del Conseil d’État, in una certa insofferenza per le iniziative provenienti dall’Eliseo. Niente di nuovo per quello che riguarda la ricostruzione storico-giuridica della vicenda; quello che maggiormente interessa nella prospettiva del presente scritto è però la storia/leggenda relativa ad un André Canal che torna per molti anni a raccogliersi nei corridoi del Palais Royal  per rendere omaggio all’istituzione che gli ha salvato la vita: <<on raconte qu’un individu avait l’habitude de venir chaque soir, à heure fixe, dans les couloirs du Palais Royal dans les années 1960. C’était André Canal qui venait se recueillir en hommage à l’institution qui avait répondu à son recours>>. Al di là delle problematiche più direttamente giuridiche, il nucleo più interessante della vicenda è proprio in questa storia, ovvero nel racconto di un uomo che, per quanto discutibile possa essere stato il suo comportamento, si trova solo avanti allo strapotere dello Stato e degli apparati pubblici e che che trova, inaspettatamente, udienza (in questo senso, in senso, sia letterale che metaforico) avanti ad un giudice sensibile alla tutela dell’individuo, anche in un vicenda “sgradevole” e che può attirare l’ira del potere e dell’opinione pubblica; parallelamente, l’affaire Canal è però anche la storia (non documentabile e suscettibile solo di sforzo immaginativo) dei dubbi e delle tecniche argomentative di un giudice stretto tra l’impossibilità morale di applicare la pena più ingiusta (la pena di morte) e la necessità di applicare la legge, di cui recentemente Guido Calabresi ha offerto una discussione estremamente completa, anche se ovviamente aperta e problematica (e per fortuna, ancora accademica, non essendosi ancora dovuto occupare di condanne alla pena capitale). In definitiva, una bella storia che riconcilia con il mestiere di giudice e, soprattutto, inorgoglisce chi eserciti la professione di giudice amministrativo o avvocato amministrativista, anche se in altro Stato; ma si tratta poi, in realtà, di una storia solo francese o anche l’Italia ha un suo André Canal?... (segue)



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