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NUMERO 1 - 13/01/2016

 Nuove strategie per la gestione delle crisi bancarie: il bail-in e la sua concreta applicazione

I noti recenti eventi di crisi hanno evidenziato la necessità di predisporre, a livello normativo, idonei congegni diretti a prevenire i fallimenti delle banche, nonché a contenerne le conseguenze negative sul piano sistemico. A tale scopo, il legislatore europeo ha adottato la direttiva BRRD (2014/59/UE); provvedimento che appresta procedure di risoluzione dei dissesti degli istituti creditizi al fine di assicurare uniformità di regole tra gli Stati appartenenti all'UE. Tra le tecniche individuate, è significativo il potere (assegnato ad un'Autorità ad hoc) di ricapitalizzare l'ente in crisi oppure di svalutare le azioni e i crediti o di convertire in azioni (secondo un ordine gerarchico) le passività dell'ente bancario in crisi, purché siano soddisfate talune condizioni (art. 43 della direttiva 2014/59/UE). Ci si riferisce, dunque, al bail-in; dispositivo che permette di far gravare il peso della ripresa dell'attività bancaria sugli azionisti e sui creditori dell'istituto in difficoltà piuttosto che sui contribuenti. Con l'obiettivo, dunque, di ridurre i fenomeni di moral hazard e di mantenere integre le finanze pubbliche, sono stati predisposti specifici modelli operativi diretti a reprimere gli impulsi degli intermediari ad assumere rischi elevati, arginando, per tale via, le possibili ripercussioni negative che simili comportamenti produrrebbero sul mercato. Pertanto, come espressamente chiarisce la relazione illustrativa ai decreti legislativi nn. 180 e 181 approvati lo scorso novembre 2015 dal Consiglio dei ministri, le nuove procedure di risoluzione delle crisi, si mostrano più efficaci rispetto agli ordinari procedimenti concorsuali <>. Più in generale, in presenza di una banca in dissesto, la direttiva BRRD prevede varie tecniche di intervento; tecniche ispirate, in un primo momento, ad assicurare la continuità delle funzioni essenziali dell'ente interessato (art. 31, 1° comma, lett. a) ed in alternativa, a predisporre l'attivazione delle misure applicabili in caso di insolvenza, allo scopo di prevenire il contagio sul piano sistemico. E' il caso di precisare che la strumentazione in discorso può essere adottata dall'Autorità di risoluzione soltanto qualora siano soddisfatte talune condizioni indicate nell'art. 32 della direttiva 2014/59/UE. Si fa riferimento, dunque, alla sussistenza di uno stato (o di un rischio) di dissesto dell'ente interessato; situazione che non può essere affrontata, in tempi ragionevoli, senza ricorrere ai meccanismi previsti. Completa il quadro dei presupposti richiesti dalla disciplina, la riferibilità ad un interesse pubblico che giustifichi l'adozione della specifica azione di risoluzione prescelta. In ogni caso, l'art. 34 della direttiva BRRD chiarisce che qualsiasi misura intrapresa debba essere coerente con taluni principi generali reputati inderogabili (significativo è il riferimento alla regola secondo cui gli azionisti debbano subire per primi le perdite, laddove i creditori ne sopportino le conseguenze soltanto successivamente, ferma restando la parità di trattamento tra gli appartenenti alla medesima categoria). A ciò si aggiunga che nessun creditore deve tollerare perdite maggiori rispetto a quelle che avrebbe sostenuto se l’ente fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza. Inoltre, i depositi protetti saranno, in ogni caso, interamente salvaguardati, mentre l’organo di amministrazione e di alta dirigenza dell’ente soggetto a risoluzione dovrà essere sostituito (facendo salve talune eccezioni). Trattasi, dunque, di inderogabili criteri cui devono essere ispirati tutti gli interventi di risoluzione delle crisi bancarie; parametri, dunque, idonei a delimitare i margini di legittimità delle misure poste in essere dalle apposite Autorità. Più nello specifico, la BRRD prevede l'applicazione, anche in combinazione tra loro, di quattro strumenti consistenti nella vendita dell'attività di impresa o delle azioni dell’ente, nella costituzione di un ente-ponte, nella separazione delle attività non in sofferenza da quelle deteriorate e, infine, nel cd. bail-in. Quest'ultimo, in particolare, attribuisce all'Autorità di risoluzione il potere di ricapitalizzare l'istituto di credito in difficoltà attraverso il coinvolgimento dei privati; operazione che può realizzare, inoltre, una riduzione (o cancellazione) di strumenti di debito ovvero una loro conversione in azioni. In tale contesto il regolatore ha previsto che gli azionisti e i creditori di ciascuno istituto in difficoltà saranno tenuti a sostenerne le perdite; per tale via evitando che queste ultime vengano socializzate, salvo i casi eccezionali indicati dalla normativa europea. Rilevante, sul punto, è l'indicazione di un ordine di priorità tra passività assoggettabili al bail-in; ordine fondato sulla logica della nuova regolazione in base alla quale chi ha investito in strumenti finanziari rischiosi debba, prima degli altri, subire le conseguenze del dissesto dell'istituto di credito. Pertanto, in prima battuta, - come è stato sottolineato in sede tecnica - soggiacciono alla procedura in discorso gli <> della banca. Soltanto nell'eventualità della loro insufficienza, l'Autorità di risoluzione potrebbe applicare la misura in parola nei riguardi dei debiti subordinati non ricompresi nel capitale e, poi, nei confronti dei creditori non garantiti. E' importante osservare, tuttavia, che, assorbita la quota dell'8% delle passività totali, possa soccorrere in aiuto, a certe condizioni, per un ulteriore ammontare pari al 5% delle medesime, il fondo unico di risoluzione ai sensi dell'art. 76 del Regolamento n. 806 del 2014 (SRM). Va, infine, evidenziato che i depositi delle persone fisiche e delle PMI superiori ad euro 100.000, come anche il fondo di garanzia dei depositi, verranno aggrediti soltanto in ultima istanza. Di contro, la direttiva BRRD esclude talune passività dall'assoggettamento alla procedura in parola; ciò per il rischio di contagio sistemico che il loro utilizzo potrebbe produrre. Ci si riferisce alle passività derivanti dalla partecipazione a sistemi di pagamento (con una durata residua inferiore a sette giorni), ovvero a quelle verso altri istituti di credito (con una scadenza originaria inferiore a sette giorni). A tale logica sembra ispirato, inoltre, l'esonero, dall'applicazione dello strumento in parola, delle passività garantite (inclusi i covered bonds). Inoltre, sono esclusi i debiti commerciali o quelli verso i dipendenti; ciò al fine di favorire la continuità delle funzioni essenziali dell'istituto in difficoltà; analoga sorte è prevista per i depositi protetti ovvero per quelli aventi ammontare inferiore ad euro 100.000 (riconducibili alla sfera di intervento del sistema di garanzia dei depositi). La disciplina europea prevede, poi, il possibile ricorso ad ulteriori meccanismi di intervento; si ha riguardo, in particolare, alla disposizione di cui all'art. 27, par. 9, del Regolamento SRM, secondo la quale, in casi straordinari, <>; tali finanziamenti, peraltro, possono essere erogati, solo dopo che: a) il limite del 5% del fondo di risoluzione sia stato raggiunto; b) tutte le passività non garantite e non privilegiate (diverse dai depositi ammissibili) siano state svalutate o interamente convertite. Inoltre, l’Autorità di risoluzione può escludere, dalla procedura in discorso, talune passività (integralmente o parzialmente) altrimenti assoggettabili; eventualità quest'ultima giustificata dalla difficoltà di intervenire in tempi ragionevoli oppure dalla necessità di consentire la continuità delle funzioni essenziali o, ancora, dal rischio fondato di un ampio contagio. Si è in presenza, dunque, di un composito sistema interventistico basato su criteri innovativi; da qui la necessità di verificare se l'impianto disciplinare così delineato possa influenzare, sia pure di riflesso, le decisioni degli investitoriDetta analisi implica la verifica di eventuali margini di discrezionalità riconosciuti dalla normativa ai regolatori nazionali in sede di recepimento della direttiva 2014/59/UE; verifica volta ad accertare la sussistenza del rischio di difformità tra le normative a livello domestico (in spregio all'obiettivo di armonizzazione avuto di mira in sede europea), cui può conseguire una maggiore o minore convenienza ad investire in determinati titoli, a seconda delle regole di bail-in cui è sottoposto l'ente emittente... (segue) 



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