Come è noto, nella passata legislatura il Governo nazionale ha promosso diverse iniziative finalizzate al ridimensionamento complessivo della spesa pubblica. Fra le varie misure adottate alcune hanno riguardato il contenimento della spesa regionale e, in questo contesto, si è cercato di avviare un percorso destinato alla riduzione dei “costi della politica”, le cui tappe principali hanno trovato espressione nel d.l. n. 138 del 2011 e nel d.l. n. 174 del 2012. I due decreti incidono sulla rappresentanza politica in ambito regionale, e, imponendo una riduzione dei costi, fanno percepire chiaramente una complessiva sfiducia dell’Esecutivo nazionale nei confronti dell’autonomia delle Regioni, che invece era stata valorizzata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 e successivamente rimodulata dalla giurisprudenza costituzionale. Queste ultime, infatti, sono accusate di avere incrementato la legislazione di spesa senza, però, aver assicurato né un innalzamento del livello medio dell’efficienza amministrativa, né un incremento della qualità della vita della comunità regionale. Durante la scorsa legislatura ha, dunque, preso corpo l’idea di dover immaginare un diverso modo di articolare i rapporti fra il “centro” e la “periferia”, rapporti che il Governo Monti avrebbe voluto ridefinire prospettando anche una modifica del Titolo V della Costituzione (Atto Senato n. 3520, presentato il 15 ottobre 2012). Sulla conformazione di tali rapporti, peraltro, incide in misura rilevante la legge costituzionale n. 1 del 2012: la novella costituzionale ha introdotto in Costituzione i principi di “equilibrio del bilancio” e della “sostenibilità del debito”, il cui rispetto si impone a tutte le amministrazioni pubbliche. Tali principi sono stati resi operativi grazie ad una apposita legge rinforzata che ha individuato “le norme fondamentali” e “i criteri” che ne consentiranno l’applicabilità al sistema dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali (si tratta della legge 24 dicembre 2012, n. 243). In particolare, ad essa è stato demandato il compito di definire le «regole sulla spesa che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica (art. 5, comma 1, lett. e). Inoltre, la legge costituzionale n. 1 del 2012 ha attratto nella competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia “armonizzazione dei bilanci pubblici”, fino ad oggi ricompresa tra le competenze concorrenti di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Il quadro delineato, infine, non può prescindere dalle novità che stanno caratterizzando la legislatura in corso. Infatti, lasciate alle spalle le relazioni prodotte dai gruppi di lavoro incaricati dall’ex Presidente della Repubblica Napolitano, nonché dalla Commissione per le riforme costituzionali istituita dal Presidente del Consiglio Enrico Letta, il Governo Renzi ha presentato al Senato un disegno di riforma costituzionale che dovrebbe farsi carico, tra le altre cose, di ripensare il riparto di potestà legislative tra Stato e Regioni voluto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. Il ddl costituzionale è attualmente all’esame del Senato e potrebbe trasformarsi in una vera e propria legge di revisione costituzionale nei prossimi mesi. Le considerazioni fin qui svolte provano a tracciare alcune linee che definiscono il contesto generale nel quale si inscrivono il d.l. n. 138 del 2011 e il d.l. n. 174 del 2012. Il primo, in particolare, ha richiesto alle Regioni di adeguare i propri ordinamenti ad alcuni parametri indicati all’art. 14, comma 1. Fra questi, la riduzione del numero dei componenti dei Consigli regionali e delle Giunte, la riduzione degli emolumenti e delle utilità “comunque denominate” dei consiglieri regionali (commisurato all’effettiva partecipazione ai lavori consiliari), ai quali applicare anche un nuovo sistema previdenziale e un nuovo criterio per calcolare l’assegno di fine mandato. Il decreto-legge n. 174 del 2012, per conto suo, immagina una complessiva riduzione dei finanziamenti che le Assemblee legislative regionali riservano ai gruppi consiliari, pone nuovi limiti alle indennità dei consiglieri regionali e prevede nuovi articolati poteri di controllo esercitati dalle competenti sezioni regionali della Corte dei Conti. È noto, infatti, che prima dell’adozione del decreto-legge n. 174 (convertito in legge, con modificazioni, dalla l. n. 213 del 2012) diverse iniziative giudiziarie hanno evidenziato quale fosse l’entità dei finanziamenti erogata ai gruppi e, soprattutto, l’“originale” elenco di beni e servizi acquisiti dai gruppi grazie ai finanziamenti consiliari. Le Regioni, dimostrando una incapacità a prospettare autonomamente una riduzione dei “costi della politica”, hanno, per il tramite della Conferenza delle Regioni del 27 settembre del 2012, esplicitamente richiesto all’Esecutivo nazionale di intervenire pesantemente sull’organizzazione delle singole Regioni. Così, il decreto-legge n. 174 ha rafforzato il ruolo della Corte dei conti in riferimento alla gestione finanziaria regionale (art. 1) ed ha avviato un percorso il cui traguardo è un generalizzato ridimensionamento dei finanziamenti che le Assemblee legislative regionali devono assicurare agli eletti e ai gruppi consiliari (art. 2). È su quest’ultimo decreto-legge e sui profili problematici che presenta che si concentrerà il presente contributo, anche alla luce delle pronunce della Corte costituzionale che hanno riguardato alcune delle sue norme. In particolare si fermerà l’attenzione, in prima battuta, sulla disciplina relativa al ridimensionamento delle indennità dei consiglieri regionali; quindi si prenderanno in esame le diverse funzioni di controllo sulla gestione finanziaria delle Regioni affidate dal d.l. n. 174 alla Corte dei conti. Infine, si svolgerà qualche considerazione sull’applicabilità del decreto-legge alle Regioni speciali, con specifico riferimento all’ordinamento della Regione siciliana... (segue)
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