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NUMERO 1 - 13/01/2016

 La regolazione amministrativa degli ATO per la gestione dei servizi pubblici locali a rete

In generale, la scelta del legislatore di avvalersi del concetto di ambito territoriale ottimale viene ricondotta dalla dottrina alla legge Galli del 1994 per la gestione del servizio idrico integrato, ed al decreto Ronchi del 1997 in cui l’ATO è l’estensione territoriale per la gestione dei rifiuti urbani. Entrambe le norme citate si inseriscono peraltro nel quadro delle privatizzazioni avviate in Italia proprio in quegli anni, laddove il richiamo alla gestione d’ambito vuole coniugarsi con obiettivi di efficienza, considerati tradizionale primazia delle imprese private, piuttosto che degli enti territoriali. In realtà, la nozione di ambito ha origini più remote ed è mutuata da un contesto molto diverso rispetto all’industria dei servizi idrici e di igiene ambientale, nascendo nel settore socio-sanitario. Già negli anni ’70, subito dopo l’istituzione delle regioni, in molti territori della repubblica, si avvertirono invero criticità nell’amministrazione e gestione di alcuni servizi sociali, specie servizi alla persona, dovute sia al ridotto dimensionamento dei comuni che rendeva difficoltoso il pieno esercizio delle funzioni amministrative, sia alla necessità di garantire unitarietà nella gestione e amministrazione dei servizi citati; basti pensare, in proposito, al bisogno di assicurare esigenze di prevenzione, cura, riabilitazione per l’effettiva tutela del corrispondente diritto alla salute. Occorreva dunque trovare uno strumento di amministrazione e gestione associata delle funzioni di organizzazione, attinenti ai servizi sociali, e dei servizi sociali stessi. Alcune regioni, anticipando il d.P.R. n. 616/1977, costituirono, così, con legge, gli ambiti territoriali delle Unità locali dei servizi, in cui da quell’epoca venne ripartito il territorio regionale. Dall’esame di tali risalenti leggi regionali si evince che detti Ambiti rappresentano la dimensione territoriale sulla quale si articola il complesso integrato di tutti i servizi di base che costituiscono, nel loro insieme, l’Unità Locale dei Servizi, la cui gestione é unica, ma decentrata in capo a comuni e comunità montane. L’ambito diviene, insomma, strumento per garantire una gestione associata e coordinata, di matrice esclusivamente amministrativa. Dall’Unità locale dei servizi così organizzati si passa poi alla costituzione dei consorzi socio-sanitari per la migliore gestione unitaria delle funzioni, pur restando invariati gli ambiti, ed in seguito, alla creazione delle Unità socio-sanitarie locali. Come si diceva, sono questi gli anni a ridosso dell’approvazione del d.P.R. n. 616/1977 che condurrà ad una progressiva istituzionalizzazione dell’evoluzione in atto. Nello stesso decreto del ’77 (art. 25) si prevede infatti che «La regione determina con legge, sentiti i comuni interessati, gli ambiti territoriali adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari, promuovendo forme di cooperazione fra gli enti locali territoriali, e, se necessario, promuovendo ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 117 della Costituzione forme anche obbligatorie di associazione fra gli stessi. Gli ambiti territoriali di cui sopra devono concernere contestualmente la gestione dei servizi sociali e sanitari». Successivamente, la formula del decentramento in cooperazione attraverso gli ambiti viene ripresa dalla legge n. 142/1990 sull’ordinamento delle autonomie locali (se ne vedano gli artt. 9, 11, 19), dove già si riconosceva alla regione la possibilità di definire ambiti sovracomunali per l’esercizio associato di funzioni in materia di servizi a rete (art. 19, lett. b)), «raccolta, distribuzione e depurazione delle acque» (art. 19, lett. f)) e «smaltimento dei rifiuti» (art. 19, lett. g)). Tali disposizioni sono poi confluite nel testo unico degli enti locali. Ancora, un richiamo agli ambiti, può rinvenirsi anche nell’art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 112/1998, dove si ammettono le regioni, nell’esercizio della propria autonomia legislativa, a prevedere «strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l’azione coordinata fra regioni ed enti locali nell’ambito delle rispettive competenze». Quando questo modello di organizzazione dell’esercizio della funzione amministrativa di programmazione e gestione dei servizi stessi viene ripreso dalla legislazione di settore, per i citati servizi a rete a rilevanza economica – gestione dei rifiuti e servizio idrico integrato –, si registra un mutamento già nella concezione stessa della dimensione ottimale di erogazione dei servizi, perchè essa diviene adesso non più accezione solo territoriale ma anche socio-economica. In specie, la valenza dell’ambito si snoda tra programmazione per piani e regolazione economica su base territoriale. La programmazione per piani – calibrati all’ambito geografico interessato – sembra assimilabile al versante più tradizionale dell’intervento pubblico sull’impresa, sia ai fini di tutela ambientale, sia per la soddisfazione degli interessi dell’utenza. Si pensi, ad esempio, alle misure di pianificazione dell’economia idrica, introdotte dalla legge Galli attraverso il c.d. piano d’ambito per il servizio idrico, ora disciplinato dall’art. 149 del d.lgs. n. 152/2006; ovvero ai piani regionali per la gestione integrata dei rifiuti attuati nei piani d’ambito e nei piani settoriali per riduzione, recupero, e così via, pure già previsti dal decreto Ronchi e adesso disciplinati agli artt. 199-203 e 197 del d.lgs. n. 152/2006. Per entrambi i settori, i piani prevedono la programmazione degli interventi infrastrutturali, il piano finanziario ed il connesso modello gestionale ed organizzativo idoneo a garantire l’obbligo del raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario della gestione, peraltro ribadito, sebbene ancora una volta senza sanzione, dalla legge generale di regolazione dei servizi di pubblica utilità risalente al 1995. La regolazione economica degli ambiti avviene mediante il potere tariffario e l’esternalizzazione, la quale si realizza attraverso il ricorso alle procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento a terzi della gestione. Sicchè gli ambiti non vengono più delineati in base a parametri meramente geografici, ma anche tecnici ed economici. A metà degli anni 2000, il processo di liberalizzazione del mercato del gas naturale – peraltro di matrice europea –, ha condotto l’ordinamento nazionale all’adozione del modello della gestione d’ambito anche per tale servizio (art. 46-bis d.l. n. 159/2007). Pure in relazione ad esso si è posta l’esigenza di intervenire tramite regolazione economica, per governare la variabilità dei costi al mutare delle caratteristiche dell’interconnessione degli impianti di distribuzione in base alle specificità geografiche. Inoltre, per la prima volta, il legislatore prevede l’introduzione di misure per l’incentivazione delle operazioni di aggregazione dei gestori, oltre all’impulso già rappresentato di per sé dall’istituzione della c.d. gara d’ambito.Viene allora da chiedersi se la ricerca della dimensione ottimale dei servizi miri ancora alla soddisfazione dei bisogni dell’utenza, come all’origine, o non piuttosto alla limitazione dei costi. In realtà, astrattamente, non vi dovrebbero essere contraddizioni di fondo tra le due finalità. Infatti, gli ATO, per un verso, corrispondono ad ambiti territoriali in grado di rappresentare bacini ottimali di utenza, e dall’altro, per essere tali, contemporaneamente rispondono anche all’efficienza e alla riduzione dei costi (economicità), insita nel relativo sistema tariffario, a favore dell’utente finale; in altre parole, l’obiettivo della costituzione dell’ambito è ottimizzare il rapporto tra costi e risultati. Diverso è, almeno in parte, ripensare agli ambiti quali strumenti per la riduzione tout court delle spese, salvo si voglia operare un’incidenza sulla spesa pubblica, attraverso la riduzione una tantum delle risorse destinate a garantire i servizi erogati da imprese in proprietà degli enti locali... (segue)



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