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NUMERO 3 - 10/02/2016

 Il buon funzionamento delle relazioni tra livelli di governo nel Regno Unito dopo il referendum sull'indipendenza

Il 18 settembre 2014, con i riflettori del mondo intero puntati addosso, gli scozzesi si sono recati alle urne per decidere se rimanere a far parte del Regno Unito oppure far sì che la Scozia diventasse uno stato indipendente. Il quesito sul cui dovevano pronunciarsi consisteva in un’alternativa secca tra indipendenza e, almeno all’apparenza, status quo. Tuttavia, il retroterra politico sulla base del quale i votanti erano chiamati a esprimere la propria preferenza offriva prospettive ben più variegate, tali da far sì che l’opzione del “no” si traducesse di fatto in un “no, ma…”. Infatti, sia il Governo di coalizione, formato dal Partito conservatore e dal Partito liberal-democratico, sia il principale partito di opposizione – il Partito laburista, avevano dichiarato pubblicamente, a pochi giorni dal referendum e a mezzo dei rispettivi leader, che nell’ipotesi della prevalenza del “no”, i partiti nazionali si sarebbero impegnati a predisporre un nuovo assetto devolutivo che avrebbe trasformato la Scozia in una parte quasi-indipendente del Regno Unito, compatibilmente con il quadro costituzionale di quest’ultimo. Sebbene tali dichiarazioni fossero state rese nel tentativo di dissuadere gli “indecisi” dall’optare per l’indipendenza, un simile atteggiamento era stato in parte anticipato dal diniego opposto dal Governo centrale ai rappresentanti del Partito nazionale scozzese - lo Scottish National Party (SNP) - il partito promotore del referendum sull’indipendenza, in sede di negoziati bilaterali relativi all’an e al quando della consultazione. La richiesta avanzata da quest’ultimo concerneva l’opportunità di prevedere un secondo quesito referendario che consentisse ai votanti di preferire un quantum maggiore di decentramento, la cui entità sarebbe stata, almeno nelle intenzioni dello SNP, notevole, coprendo tutte le funzioni legislative non rientranti nelle materie della difesa, degli affari esteri e della politica monetaria. Tuttavia, la prospettiva dei principali partiti nazionali circa l’entità massima di decentramento a favore della Scozia che il Regno Unito avrebbe potuto “tollerare” era alquanto differente, motivo per cui nelle settimane immediatamente precedenti alla consultazione vi era stata grande confusione nella stampa circa l’espressione atta a descrivere le proposte avanzate dai grandi partiti nell’ipotesi della prevalenza del “no”. Nell’opinione pubblica si sono profilati due orientamenti che vengono comunemente individuati, rispettivamente, come devo more e devo max. Il secondo rappresenta la massima autonomia consentita affinché non sia compromessa la sovranità del Regno Unito: a cosa questo ammonti non è affatto ovvio, come dimostrato dalla tendenza della stampa britannica ad attribuire alle proposte dei partiti nazionali l’etichetta devo max. Tuttavia, volendo partire dal presupposto che devo max rappresenti il quantum di autonomia reclamabile in luogo dell’indipendenza, è interessante notare come le ambizioni dello SNP in tal senso siano state ridimensionate in ragione del risultato del referendum, che ha sancito la prevalenza del “no” con 2.001.926 voti, ammontanti alla percentuale del 55,25%. Sebbene, infatti, le attuali rivendicazioni avanzate dal Governo scozzese si focalizzino principalmente sulla possibilità di instaurare un regime di assoluta autonomia fiscale in Scozia, è opportuno interrogarsi circa l’elasticità dell’assetto costituzionale britannico dinanzi alle esigenze di ulteriore decentramento che stanno emergendo con frequenza sempre maggiore, a partire dalla bozza di legge pubblicata nel gennaio 2015, che costituisce in larga parte la sintesi delle proposte pervenute dalle forze politiche al governo e all’opposizione circa le ulteriori funzioni da trasferire alle istituzioni politiche scozzesi, per proseguire successivamente con l’esame delle disposizioni a tal fine rilevanti contenute nel disegno di legge introdotto a seguito delle elezioni politiche del 7 maggio 2015 e tuttora all’esame del Parlamento centrale. L’obiettivo perseguito dal presente scritto consiste nell’argomentare come, alla luce della Costituzione britannica, alcune modifiche di portata generale proposte dalla legislazione in corso di approvazione risultino del tutto superflue rispetto all’esigenza di tutelare l’assetto devolutivo corrente, tanto che finirebbero invero per dar luogo ad una “giurisdizionalizzazione” dei conflitti tra livelli di governo del tutto innecessaria alla luce dell’architettura costituzionale britannica... (segue)



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