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FOCUS - Fonti del diritto N. 1 - 29/02/2016

 La tutela giurisdizionale dei diritti inviolabili tra obblighi internazionali e Stato di diritto

L’ormai celebre sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 22 ottobre 2014, che è intervenuta sul tema dell’immunità giurisdizionale «in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona», appare destinata a far parlare di sé per lungo tempo ancora, per via delle sue molteplici implicazioni che certamente travalicano gli specifici effetti prodotti nel caso concreto. L’immunità giurisdizionale dello Stato, pilastro del tradizionale assetto «westfaliano» della comunità internazionale, è garantita da una norma consuetudinaria secondaria del diritto internazionale la quale, secondo l’insegnamento della Corte internazionale di giustizia, «derives from the principle of sovereign equality of States, which […] is one of the fundamental principles of the international legal order». Come evidenziato da autorevole dottrina, la nozione di immunità rilevante per il diritto internazionale non va intesa nel senso della «inapplicabilità di certe regole in ragione della qualità soggettiva di una persona o di un ente», ma piuttosto come impossibilità obiettiva di esercizio della giurisdizione da parte dei tribunali nazionali per via dell’insindacabilità degli atti di natura sovrana dello Stato straniero rispetto all’ordinamento giuridico nel suo complesso. A partire da tale regola generale, l’eccezione riferibile alla distinzione tra atti iure imperii iure gestionis si è affermata proprio per consentire il superamento del prescritto obbligo di astensione dall’esercizio della giurisdizione qualora il rapporto dedotto in contestazione sia espressione di un’attività negoziale dello Stato, in tutto simile a quella esercitata da soggetti privati. Per converso, si deve ritenere che qualsiasi manifestazione di volontà espressione della potestà sovrana statale risulta in linea di principio inconoscibile dagli organi giurisdizionali nazionali, senza che a tal fine possa rilevare la liceità o meno dei relativi contenuti. La Corte costituzionale, per impedire che la norma consuetudinaria sull’immunità potesse produrre effetti nell’ambito dei giudizi di risarcimento dei danni derivanti dalla commissione di crimini internazionali, ha quindi stabilito di «bloccarne l’ingresso» nell’ordinamento tramite l’articolo 10 della Costituzione, attestandone, limitatamente al caso di specie, l’incompatibilità con gli articoli 2 e 24. In tal modo, la Corte ha inteso valorizzare il principio di tutela giurisdizionale come presidio «intangibile» posto a garanzia dell’esercizio dei diritti fondamentali dell’individuo e dell’affermazione dello Stato di diritto. Al di là delle tecniche decisorie utilizzate e delle loro ricadute sul piano dei rapporti internazionali, sembra essere questo il portato più significativo della decisione, sul quale vertono le brevi notazioni oggetto del presente contributo... (segue)



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