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NUMERO 10 - 18/05/2016

 Procreazione medicalmente assistita e Costituzione

Alla procreazione medicalmente assistita (d’ora innanzi: PMA) fanno capo molteplici e spinose questioni, su alcune delle quali siamo stati oggi chiamati a confrontarci, che si situano al crocevia di etica, scienza e diritto; e questo rende estremamente complicato ed impegnativo lo sforzo proteso ad apprestarvi soluzioni (se non appieno soddisfacenti) complessivamente ragionevoli, in quanto idonee a dare appagamento ad interessi plurimi e non di rado confliggenti, tutti nondimeno astrattamente meritevoli di tutela. Tra etica, scienza e diritto si dà, a mia opinione, un rapporto di distinzione, ciascuna di esse possedendo una sua propria caratterizzazione, ma non di rigida separazione o, diciamo pure, di reciproca impermeabilizzazione; piuttosto, si intrattiene (e deve, secondo modello, intrattenersi) un incessante e fecondo sussidio: l’etica e la scienza, ciascuna per la propria parte ed in misura varia a seconda dei casi, illuminano ed orientano tanto la teoria quanto la pratica giuridica; il diritto, a sua volta, è strumento che con altri concorre all’affermazione sia dell’una che dell’altra, alla loro implementazione nell’esperienza ed anche – come si tenterà di mostrare – al loro stesso rinnovamento. D’altronde, è un dato di comune acquisizione quello per cui i problemi di biodiritto non possono neppure essere impostati e – fin dove possibile – a modo risolti se non tenendo conto degli esiti raggiunti negli ambiti disciplinari suddetti, in ispecie di quelli a ritmo incalzante offerti dalla scienza, la quale poi richiede, a sua volta, di essere indirizzata dall’etica, di poggiare sui suoi postulati, specie su quelli maggiormente solidi e radicati nel tessuto sociale, pur gravando su di esse la cappa soffocante relativa alla cruciale, vessata questione concernente la determinazione stessa del momento sia iniziale che finale della vita. Ora, la dipendenza del diritto dall’etica si apprezza in singolare misura e con toni di particolare evidenza proprio nello studio delle esperienze di biodiritto dal punto di vista del diritto costituzionale, ove si convenga – come a mia opinione devesi – che la Costituzione, in specie nella sua accezione d’ispirazione liberale, è, nella sua essenza, un’etica pubblica positivizzata, un’etica che si rispecchia in ogni norma della nostra Carta, sia sostantiva che organizzativa, ma che ha – come si sa – la sua più espressiva e genuina testimonianza ad opera degli enunciati portatori di valore in grado eminente, i principi fondamentali, in ispecie di quello personalista, che in sé racchiude ed esprime i valori transepocali di libertà, eguaglianza, solidarietà e, sopra ogni altro, vita e dignità. È interessante notare come la Costituzione, allo stesso tempo, promuova e valorizzi l’etica e però pure, fatalmente, la impoverisca. Nella traduzione, infatti, che ne dà (specie nei suoi principi suddetti), non riesce comunque, per un suo insuperabile limite, a rappresentarla in tutta la sua purezza, il suo indicibile ed irripetibile splendore; e, per questo verso, appunto ne dà un’appiattita e riduttiva descrizione. E, tuttavia, come si diceva, allo stesso tempo la valorizza, perché dell’opera del diritto l’etica non può comunque fare a meno al fine di potersi affermare – nei limiti consentiti dalle circostanze – magis ut valeat: l’etica vivente ha, cioè, bisogno del servizio reso dal diritto, in ispecie appunto dal diritto costituzionale. Quanto, poi, ai rapporti tra scienza e diritto, l’intero discorso che ora farò mostra come ciascuno dei termini della relazione abbia comunque bisogno dell’altro, specie in relazione ad alcune esperienze di vita, con una più considerevole dipendenza però, culturale in forma eminente, del secondo dalla prima, da cui quello è come preso per mano e portato alla meta prefissasi, in cui alcuni bisogni elementari dell’uomo possano ricevere – quanto meno, la speranza è questa – un qualche, complessivamente apprezzabile, appagamento... (segue)



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