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NUMERO 12 - 15/06/2016

 La brutta fine del nostro regionalismo

Il breve esame che condurrò cercherà di esaminare la concreta riconfigurazione delle Regioni sulla base della nuova normativa adottata, analizzata secondo il classico metodo giuridico, quale normalmente utilizzato  nei nostri studi e nell’attività giurisdizionale (ho fatto in materia una faticosa, ma istruttiva, esperienza alla Corte costituzionale dal 2002 al 2011, tentando di contribuire a far funzionare il Titolo V riformato nel 2001).Mi sembra, invece, assai imprudente interpretare le novità in modo fantasioso o alla luce di mere speranze. Se leggiamo in modo obiettivo quello che dovrebbe divenire il nuovo art.117 della Costituzione, è davvero difficile capire quali saranno le future competenze legislative delle Regioni ordinarie, dal momento che –come è noto- scompaiono radicalmente le materie di competenza ripartita o concorrente, salvo che in due settori marginali (la legge elettorale regionale, la rappresentanza delle minoranze linguistiche), per di più sulla base di una motivazione ritenuta da molti di noi falsa e cioè che questo tipo di potestà legislativa sia all’origine dell’anomala conflittualità fra Stato e Regioni. Al tempo stesso, mentre praticamente si raddoppiano le attuali materie di competenza esclusiva dello Stato (art. 117.2), il terzo comma dell’art. 117 ha fondamentalmente due diversi contenuti: in primo luogo si elencano una serie di settori nei quali le Regioni potranno intervenire in ambiti di interesse regionale, peraltro tutti corrispondenti a numerose materie di competenza esclusiva statale, di modo che le Regioni in realtà potranno legiferare solo là dove il legislatore statale lo permetterà  in applicazione del secondo comma dell’art. 117. In secondo luogo, si ripete la famosa clausola della competenza residuale a favore delle Regioni (competenti “in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato”) ma purtroppo l’elencazione delle competenze statali, malgrado sia vastissima, non è affatto esaustiva in ambiti molto importanti (come, ad esempio, in materia di industria, di agricoltura, di artigianato, di attività minerarie e di cava, di caccia e di pesca)  con quindi la conseguente apparente titolarità della Regione in tutte queste grandi materie. Ma è evidente che una “dimenticanza” del genere (in stridente contrasto con quanto pensano i nostri governanti e parlamentari: basti pensa alla recentissima vicenda “trivelle”) produrrebbe innumerevoli conflittualità, magari in attesa che la Corte costituzionale intervenga a tutela di altri ambiti di competenza esclusiva statale interferenti, che possano limitare radicalmente legislazioni regionali in tutte queste materie. Ma tutto ciò moltiplicherà la conflittualità. Si potrebbe dire che nello sterminato elenco di cui al secondo comma dell’art. 117 si possono in realtà ricavare altri ambiti legislativi regionali, poiché   il legislatore statale dovrebbe  determinare le sole norme generali e comuniin otto importanti materie (“tutela della salute”, “politiche sociali”, “sicurezza alimentare”, “istruzione”, “istruzione e formazione professionale”, “attività culturali”, “turismo”, “governo del territorio”) o in varie altre importanti materie deve determinare gli interessi nazionali(protezione civile, produzione, trasporto e distribuzione dell’energia, navigazione, porti ed aeroporti civili, reti di trasporto) o distinguere alcuni maggiori interventi o interessi da altri (“ricerca scientifica e tecnologica”,  “infrastrutture”, “reti di trasporto”). Il problema sta peraltro nel fatto che queste leggi saranno adottate dalla Camera dei deputati, mentre il Senato avrà in materia solo un potere sostanzialmente consultivo: è paradossale, ma fra le eterogenee funzioni legislative attribuite al Senato mancano proprio quelle relative alla specificazione dei confini fra le diverse materie statali e regionali. E’ quindi assolutamente infondata la tesi che l’ incontestabile diminuzione di poteri delle Regioni sarebbe sostanzialmente compensata dalla previsione del nuovo Senato, che contribuirebbe  all’arricchimento del confronto in Parlamento: paradossalmente i nuovi Senatori sarebbero chiamati ad occuparsi di politica estera e comunitaria, di assetto dell’amministrazione locale, di istituti di democrazia diretta, di ordinamento elettorale delle Regioni,  ecc., ma non di ciò che le Regioni devono fare. Invece le burocrazie statali avrebbe disco verde per un recupero clamoroso e discutibilissimo di poteri e di apparati. Inoltre, dato il parallelismo fra poteri legislativi ed amministrativi, le Regioni sarebbero rapidamente  ridotte a grandi enti amministrativi nei limiti determinati discrezionalmente dal Parlamento. Si dovrebbe allora ricordare quanto sostennero vittoriosamente all’epoca della Costituente Ambrosini, Amorth o Sturzo, a proposito dell’essenzialità che le Regioni fossero titolari anche di significativi poteri legislativi... (segue)



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