Come è noto, la legge del 15 luglio 2009 n. 94 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” (c.d. secondo pacchetto sicurezza) ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. In particolare, l’art. 10 bis del Testo Unico immigrazione sanziona, con la sola pena pecuniaria dell’ammenda (da cinquemila a diecimila euro) la condotta dello straniero che “fa ingresso, ovvero si trattiene, nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni normative che regolamentano i titoli di ingresso e soggiorno come disciplinati dall’art. 4 d.lgs. 286/1998”. La norma, quindi, incrimina la mera condotta di accesso al territorio dello Stato cui può seguire o meno il trattenimento irregolare nel territorio dello Stato. L’introduzione del reato di “clandestinità” è stata da subito interpretata come il segno evidente di una svolta in senso discriminatorio delle politiche dell’immigrazione attuate dal legislatore nazionale. Invero, per quanto fosse valutata crescente la necessità di disciplinare con rigore il fenomeno dell’immigrazione irregolare, prima del 2009 il legislatore non aveva avvertito il bisogno di giungere alla vera e propria criminalizzazione del mero ingresso nello Stato. La previsione di tale fattispecie, pertanto, ha rappresentato molto di più di un semplice intervento normativo nella regolamentazione del fenomeno dell’immigrazione irregolare: essa ha determinato un vero e proprio mutamento di ‘filosofia’ nella gestione dei flussi clandestini. L’obiettivo della norma vuole essere quello di introdurre nell’ordinamento giuridico un deterrente psicologico nei confronti di quanti vogliono entrare, senza averne titolo, nel nostro Paese, ponendo così un freno ad ogni intento degli stranieri di raggiungere illegalmente il territorio. Al perseguimento di questo scopo concorre la previsione dell’obbligo di denuncia posto a carico dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio che vengano a conoscenza dello status di irregolarità in cui versi l’immigrato con il quale vengano a contatto nell’esercizio, ovvero a causa delle loro funzioni. Le disposizioni di riforma del 2009, quindi, hanno inteso fronteggiare gli ingressi illegali degli immigrati, secondo una logica che si ispira allo slogan “ordine e sicurezza” partendo dalla considerazione che i flussi migratori irregolari siano “un male da estirpare e da criminalizzare”, apparentemente rispondendo solo ad un bisogno via via emerso in seno alla collettività. Il legislatore, in definitiva, ha preferito affrontare la “questione sicurezza” sanzionando penalmente lo status di straniero irregolare, piuttosto che opporsi al fenomeno dell’immigrazione clandestina rafforzando il sistema delle espulsioni e, in generale, delle misure finalizzate a rimpatriare tutti gli stranieri irregolarmente presenti nel territorio nazionale... (segue)
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