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Indipendentemente dalla data in vigore del processo amministrativo telematico (oggi slittata al 1° gennaio 2017, per effetto degli artt. 1, 1° e 2° comma e 2 del d.l. 30 giugno 2016, n. 117, conv. in l. 12 agosto 2016, n. 161), l’emanazione della fonte normativa (il d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40) destinata a regolamentare il cd. P.A.T. (processo amministrativo telematico) rende possibile una prima analisi di quelli che potrebbero essere i primi punti problematici della nuova strutturazione concreta del processo amministrativo. Al di là dei dubbi espressi da una parte della dottrina, appare impossibile, a questo proposito, negare il recupero di efficienza che deriverà dall’entrata in vigore del P.A.T. (se non altro, per effetto dall’introduzione della firma digitale dei provvedimenti giurisdizionali e della conseguente riduzione dei tempi di deposito delle decisioni); da non sottovalutare è poi la riduzione complessiva dei costi di gestione del sistema (soprattutto relativi al personale addetto alle segreterie degli uffici giudiziari) che rappresenta, probabilmente, un’occasione storica per ridisegnare una Giustizia amministrativa meno costosa, in termini generali e più centrata sul personale di magistratura piuttosto che sul personale amministrativo. È però ormai tempo di interrogarsi sulle modifiche sostanziali del processo amministrativo che deriveranno dalla “digitalizzazione” del sistema; non occorre, infatti, farsi molte illusioni sul carattere “neutro” dell’introduzione delle nuove tecnologie (che, peraltro, in questo campo, procedono necessariamente di pari passo con nuove regole processuali e, quindi, in buona sostanza, con modifiche delle disciplina normativa del processo) e sull’illusione di poter vedere all’opera un processo amministrativo immutato, se non per i supporti digitali utilizzati; a questo proposito, merita pertanto approvazione la (lungimirante) rilevazione della dottrina in ordine all’impossibilità di ravvisare campi <>... (segue)
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