L’art. 117, comma 3°, Cost., come modificato dalla riforma del Titolo V del 2001, delinea una peculiare forma di potestà legislativa distribuita tra lo Stato e le Regioni, convenzionalmente e testualmente indicata come “concorrente”. Si tratta di una tipologia riscontrabile anche nell’ambito comparato, ma che nella versione disegnata dalla Costituzione italiana presenta alcune caratteristiche uniche. L’obiettivo delle pagine che seguono è di offrire un contributo all’analisi della potestà legislativa concorrente “all’italiana” in un momento particolare della sua storia: dopo essere stata prevista fin dal 1948 e modificata in profondità nel 2001 dalla l. cost. n. 3 di quell’anno, essa è ora oggetto di un radicale intervento ad opera del Parlamento in veste di revisore costituzionale, tramite una deliberazione di legge costituzionale approvata, in seconda lettura, a maggioranza assoluta dei membri delle Camere (da ultimo, dalla Camera dei deputati il 12 aprile 2016) ma sottoposta a referendum popolare (indetto per il 4 dicembre 2016). Pertanto, stretti tra la disciplina previgente e un’ulteriore riforma, il momento sembra quanto mai propizio per approfondire la configurazione effettivamente assunta dalla potestà legislativa concorrente nei tre lustri che separano la revisione del 2001 dalle presenti note. In particolare, l’analisi vuole addentrarsi in un aspetto peculiare di tale forma di collaborazione legislativa tra Stato e Regioni: la distinzione tra “principi” e “dettagli”. Come noto, l’art. 117 Cost., come modificato nel 2001, dispone che il legislatore statale e quelli regionali (i quali sono molti, pur senza essere – fortunatamente – Legione) esercitino entrambi la potestà legislativa su una serie di materie, espressamente elencate, secondo un criterio apparentemente chiaro ed ordinato: allo Stato spetta la determinazione dei principi, alle Regioni, per sottrazione, tutto ciò che non rientra fra i principi. Dunque, la Costituzione non prevede soltanto una ripartizione fondata sulle materie, ma stabilisce anche che, all’interno di alcune di esse, si possano e si debbano distinguere i principi da ciò che principio non è. Si è dichiarato che il criterio di ripartizione è chiaro ed ordinato e, almeno in teoria, non vi sono dubbi che lo sia, poiché non vi è nulla di più lineare che attribuire a ciascuno il suo ed attendere il naturale sviluppo delle cose. In verità, ad un’analisi più attenta, si riscontra l’assenza di buona parte della linearità che si è accreditata. Due domande si pongono subito all’attenzione: che cos’è una materia? E, ancora, che cos’è un principio della materia? La prima questione, è evidente, si pone in modo identico anche in riferimento ai commi 2° e 4° dell’art. 117 Cost., ovvero alla potestà legislativa esclusiva dello Stato e a quella residuale delle Regioni, relativa la prima ad una serie di materie elencate e la seconda a quelle non citate nel testo costituzionale... (segue)
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