La Costituzione italiana del 1948 è geneticamente segnata dal ruolo fondamentale assunto dai partiti politici nelle fasi che hanno condotto alla sua nascita, tanto che le organizzazioni partitiche condizionarono in misura decisiva gli equilibri della nuova forma di Stato democratico-pluralista e, naturalmente, della forma di governo parlamentare. E’ noto, del resto, che, anche a livello generale, proprio attraverso l’incorporazione del partito nell’orizzonte teorico-dogmatico del diritto costituzionale, a cavallo del secondo conflitto mondiale, fu possibile l’affermazione di una visione politico-istituzionale pluralista, che non considerava le forze politiche e sociali come cause di dissoluzione della sovranità statale e che, piuttosto, attribuiva alle medesime il compito di canalizzare le molteplici e variegate istanze della comunità in altrettanti indirizzi di politica nazionale. Nella nuova concezione il pluralismo politico non era più inteso come sinonimo di frammentarietà e particolarismo, secondo una concezione che, in epoca liberale, aveva condotto all’avversione nei confronti di ogni struttura che potesse alterare il diretto rapporto tra il cittadino politicamente attivo e lo Stato ed anche alla ricostruzione del meccanismo elettorale quale strumento di scelta dei migliori interpreti degli interessi della Nazione, piuttosto che delega di funzioni nell’ambito di un rapporto rappresentanza tra elettori ed eletti. Invero, già nel corso della seconda guerra mondiale (soprattutto nel periodo della guerra civile del 1943-45) e durante il processo costituente – superata la pretesa di riduzione del pluralismo sociale nell’ambito delle strutture dello Stato corporativo – i partiti, quali fattori di unificazione dell’intera vita della comunità, assunsero un ruolo chiave per la ricostituzione del corpo sociale intorno al fondamentale principio giuridico della solidarietà politica, puntualmente evocato nell’art. 2 Cost. Sotto quest’ultimo aspetto, infatti – come rilevava Costantino Mortati – “la sostanziale omogeneità del sostrato sociale” e “la concordanza diffusa nella più gran parte dei cittadini politicamente attivi intorno a certi valori o a certi interessi” costituiscono il presupposto della coesistenza pacifica tra gruppi politici e sociali eterogenei e del libero confronto tra diverse visioni dell’interesse generale. Ove tali condizioni dovessero venire a mancare, con una diffusa messa in discussione dei fini fondamentali della comunità organizzata sul piano politico, sociale ed economico, sarebbe “vano attendere da misure repressive dell’estremismo politico la normalizzazione del sistema democratico”. Sulla base di tale premessa, i partiti politici democratici avrebbero dovuto (e devono ancora oggi) contribuire alla conservazione delle predette condizioni, pur nella diversità delle rispettive visioni e ideologie, astenendosi da ogni posizione rivolta alla radicale delegittimazione delle istituzioni costituzionali e degli altri soggetti politici “concorrenti” nella determinazione della politica nazionale... (segue)
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