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FOCUS - Numero speciale 26/2016

 Vincoli di bilancio e retribuzione dei dipendenti pubblici: il ruolo delle Corti

Volendo sviluppare alcuni degli spunti che la crisi economico-finanziaria offre a chi tenti di dedicarsi allo studio del diritto costituzionale (anche in un’ottica comparata), i possibili macro-ambiti di indagine sono almeno quattro: il primo è dato dalle prospettive e dai possibili problemi che la crisi ha collocato sul percorso di integrazione europea; il secondo è dato dai condizionamenti che essa pone in ordine al processo di governo all’interno degli stati; il terzo dall’impatto delle vicende economiche sul federalising process dei singoli paesi (o almeno di quelli dotati di una struttura territoriale composta); infine, il quarto aspetto è dato  dal problema della garanzia dell’effettività dei diritti, con particolare riferimento a quelli che danno contenuto al welfare state e che potremmo ricondurre alla species dei diritti sociali. Secondo taluni, le analisi condotte negli ultimi anni hanno trascurato proprio l’aspetto della contrazione nelle garanzie e nelle tutele a essa riferibili, così come definiti nell’evoluzione del costituzionalismo novecentesco. In questo contributo si intende dedicare particolare attenzione al diritto alla retribuzione, quale corollario del “principe dei diritti sociali”, il diritto al lavoro; in particolare, si andrà a valutarne la tutela da parte delle Corti costituzionali in alcuni ordinamenti europei. Si tratta di una scelta che necessita di alcune considerazioni preliminari. La crisi ha avuto fra le sue prime conseguenze una (drammatica) contrazione della domanda di lavoro; e, come ovvio, ciò ha comportato una variazione (peggiorativa) dei livelli occupazionali. Però, oltre a questo aspetto, alcuni osservatori hanno evidenziato un singolare trasferimento dei costi necessari per l’uscita dalla crisi stessa, con un notevole impegno pubblico per il salvataggio di entità in precedenza considerate come appartenenti a quella che pareva essere una dimensione – quella dei mercati finanziari globali - quasi extra-statuale, ormai dematerializzata e incorporea. Come è stato evidenziato, benché fra le cause della crisi venga solo in rare analisi attribuito un qualche peso alla regolazione del lavoro, è su quest’ultima che gli stati nazionali, seguendo le indicazioni contenute nelle politiche di austerity (sovente decise a livello sovranazionale), hanno deciso di incidere in maniera pesante, una volta ricevuto l’invito a procedere in tal senso. In particolare, pare quasi tralucere, da alcune situazioni contingenti, una volontà di traslare sui “diritti del lavoro” una parte consistente dei costi che le (assai onerose) operazioni di soccorso cui si è accennato poco sopra hanno comportato: come è stato scritto, le esperienze passate (quale quella, costantemente evocata, della ‘Grande crisi’ del 1929) avrebbero piuttosto suggerito, quale decisione logica, misure volte a rafforzare la fiducia dei lavoratori e dei cittadini, sia per sostenerne i consumi che per rinsaldare la tenuta delle istituzioni proprie della democrazia rappresentativa; ma le scelte compiute non sono sempre state in linea con tale impostazione. Anzi, nella maggior parte dei casi si sono intraprese riforme del lavoro che paiono essere, dal punto di vista dei diritti, regressive: chi ha tentato di rinvenire delle traiettorie comuni nei percorsi nazionali si è trovato a doversi confrontare con un quadro che, come vedremo, non pare essere particolarmente incoraggiante... (segue) 



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