
La presenza delle donne alla Costituente è incisiva e determinante. Acquisita con il voto passivo la capacità di esercitare il potere legislativo, esse si trovano in una posizione di forza rispetto al passato ma allo stesso tempo dinanzi ad un compito non facile, con pochi alleati interni e grandi aspettative da parte del mondo femminile. Come precisa una delle deputate elette, la democristiana Maria Federici, la donna «non avrebbe nella Costituzione il posto che di fatto vi ha, se non ci fosse stato alla Costituente quel gruppo di donne che il suffragio universale e l’esercizio dell’elettorato passivo, oltre che attivo, aveva portato nell’aula di Montecitorio». Dai resoconti delle discussioni e dagli atti delle sedute emerge, di fatto, l’atteggiamento di sfiducia, permeato di pregiudizi, di molti deputati che, nell’arco dei due anni di attività dell’Assemblea, sovente ostacolano il lavoro delle colleghe, infaticabili sostenitrici della piena emancipazione della donna in campo giuridico, economico, sociale e politico, nella lungimirante consapevolezza che una legislazione a favore della donna sia un beneficio per l’intera società. Il 2 giugno 1946 vengono elette alla Costituente 21 donne su un totale di 556 uomini. Erano state candidate 226, tra queste 29 donne dalla Dc, 68 candidate dal Pci, 16 dal Psiup, 14 dal Partito d’azione, 8 dall’Unione democratica nazionale, 7 dal Fronte dell’uomo qualunque. I più alti voti di preferenza vengono ottenuti, nell’ordine, da due comuniste, Rita Montagnana (XIII collegio elettorale, Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì, ottiene 68.722 voti) e Teresa Noce (XIV collegio, Parma-Modena-Piacenza-Reggio Emilia, ottiene 47.219 voti) e dalla democristiana Laura Bianchini (VI collegio, Brescia-Bergamo, con 30.716 voti di preferenza). La maggior parte di loro è laureata ma sono presenti anche ex operaie e casalinghe. Delle ventuno elette all’Assemblea Costituente – che geograficamente rappresentano quasi tutta la penisola – una appartiene al Fronte dell’uomo qualunque, Ottavia Penna, baronessa originaria di Caltagirone, la prima e unica donna candidata alle elezioni del Capo provvisorio dello Stato, dove risulta terza, con 32 voti, dopo Enrico De Nicola e Cipriano Facchinetti. Due sono socialiste: Bianca Bianchi (Vicchio di Mugello) e Lina Merlin (Pozzonovo). Nove comuniste: Adele Bei (Cantiano), Nadia Gallico Spano (Tunisi), Nilde Iotti (Reggio Emilia), Angiola Minella (Torino), Rita Montagnana (Torino), Teresa Noce (Torino), Elettra Pollastrini (Rieti), Maria Maddalena Rossi (Codevilla) e Teresa Mattei (Genova), la più giovane, eletta a soli 25 anni, è colei che inventa il simbolo della mimosa per la ricorrenza della Festa della donna. Nove sono democristiane: Laura Bianchini (Castenedolo), Elisabetta (Elsa) Conci (Trento), Filomena Delli Castelli (Città Sant’Angelo), Maria De Unterrichter Jervolino (Ossana), Maria Agamben Federici (l’Aquila), Angela Gotelli (Albareto), Angela Maria Guidi Cingolani (Roma), Maria Nicotra (Catania), Vittoria Titomanlio (Barletta). Pur rappresentando solamente il 3,7% dei deputati dell’Assemblea, il loro operato è stato decisivo affinché venissero iscritti nella Costituzione italiana quei principi di parità rivelatisi determinanti nella elaborazione legislativa successiva, nella trasformazione della società italiana e nello sviluppo di una democrazia più matura... (segue)
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