
Se la rivoluzione iraniana del 1979 ha avuto successo è merito di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, vero e proprio stratega di Khomeini, defunto l’8 gennaio 2017 all’età di 82 anni. Fu Rafsanjani, infatti, prima ancora del rientro in Iran di Khomeini, e il giorno stesso della cacciata dello Shah Reza Phalavi, a costituire, nell’ordine, il Consiglio rivoluzionario islamico, la Fondazione degli oppressi Bonyad-e Mostazafan che aveva acquisito tutti i beni espropriati alla dinastia Pahlavi, nonché i comitati rivoluzionari, ispirati ai soviet sovietici, in ogni provincia e villaggio. Quando Khomeini torna in Patria, la rivoluzione non ha una connotazione religiosa, tutt’altro: ad opporsi allo Shah di Persia non sono tanto gli esponenti del clero quanto gli intellettuali, gli studenti, i comunisti, i commercianti. Tutti contestavano allo Shah i suoi eccessi, lo sperpero di denaro pubblico, le eccessive apertura (prevalentemente economiche e commerciali) all’occidente (“svendi il Paese” l’accusa principale), la soppressione di ogni appartenenza ad una qualsiasi religione, ideologia, identità culturale. E’ per questo che Khomeini, acquisito il governo provvisorio del paese grazie al suo carisma e all’immagine mediatica di eroe esiliato dallo Shah, affida ad un laico, Mehdi Bazaargan, il primo governo post rivoluzionario e sostiene l’elezione di un altro laico, Abolhassan Badi Sadr, a primo Presidente della Repubblica eletto a suffragio universale e diretto. E’ il gennaio 1980 e la rivoluzione del 1979 manteneva ancora la sua connotazione laica e “socialisteggiante”. Ma accanto al governo ufficiale, prospera un apparato parallelo, un vero e proprio Stato occulto, fondato sul Consiglio rivoluzionario islamico e sul Partito rivoluzionario islamico entrambi presieduti da Rafsanjani. Lo Stato occulto prende il sopravento sullo Stato ufficiale e lo sostituisce nel 1981, culminando con la sfiducia, nel giugno dello stesso anno, del Presidente della Repubblica Badi Sadr e l’elezione, al suo posto, di un religioso, Alī Ḥoseynī Khāmeneī. A definire strategie, tempi, modalità di trasformazione della rivoluzione laica in rivoluzione islamica è Rafsanjani, all’epoca presidente del Parlamento. Questi pochi dati storici, appena accennati, danno l’idea di quanto sia rilevante per l’evoluzione del sistema costituzionale iraniano la figura e il pensiero di Rafsanjani e di quale sia, conseguentemente, la portata della sua scomparsa. Nella storia dell’Iran contemporaneo non c’è evento di rilievo politico, economico, istituzionale che non sia riconducibile all’azione di Rafsanjani. Quando nel 1986 Khomeini decide di sciogliere tutti i partiti, dichiarando fuori legge i movimenti comunisti, è a Rafsanjani che si rivolge formalmente con una lettera, chiedendo di dare l’esempio come segretario del Partito Islamico e di autosciogliersi per evitare di diventare “un centro di potere estraneo ai problemi e alle necessità della società, una gabbia chiusa all’esterno e burocratizzata”. Ed è sempre Rafsanjani a gestire le grandi ricchezze pubbliche iraniane, trasformandole, talvolta, secondo accuse mai verificate, in risorse private. Come si è detto, infatti, è lui a creare la Fondazione degli Oppressi il cui capitale era inizialmente costituito dai beni espropriati allo Shah; ed è suo cognato a dirigerla per molti anni, trasformandola in una delle maggiori holding del Medio Oriente. Ma oltre alla Fondazione, Rafsanjani controllava, direttamente o tramite la sua famiglia, le banche principali in Iran e, attraverso queste, numerose banche e finanziarie dell’Arabia Saudita, possedeva compagnie aeree e navali, i migliori hotel dell’Iran, il 32% della produzione tessile, il 43% di quella del cemento, quasi il 35% dello zucchero, quasi il 95% della produzione e distribuzione di pistacchi (dati 2009), oltre quattrocento imprese nel settore agroalimentare, numerose industrie commerciali e società minerarie e perfino la Zam Zam, la Coca cola iraniana. Mente politica della rivoluzione e abile imprenditore, Rafsanjani era, dal punto di vista religioso, uno dei pochi leader “marja' al-taqlīd” ovvero fonte di imitazione, come Khomeini, massimo gradino possibile nella originale “gerarchia” sciita... (segue)
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