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NUMERO 3 - 08/02/2017

 L'umanesimo penale nel pensiero di Aldo Moro

Nella stagione italiana della Repubblica, ormai settantennale, inaugurata dalla Costituzione del 1948, la Scuola penalistica italiana annovera Maestri che hanno lasciato un segno indelebile per l’avanzamento del pensiero nel settore disciplinare del diritto penale e per l’impegno civile profuso nell’opera di implementazione dei principi della Carta fondamentale nel settore legislativo, soprattutto quello penale, più recalcitrante al rispetto dei principi di libertà, dove la finalità repressiva è la sua cifra genetica e dove la sofferenza della persona umana finisce per essere <> della finalità punitiva. L’opera di contenimento di un <> è uno dei più rilevanti tratti caratteristici del costituzionalismo penale e tutta la strategia di rilettura del sistema normativo codicistico, nato ed evoluto nel 1930 sotto paradigmi di valore radicalmente diversi, è da riconoscere allo sforzo costante dei penalisti che posero le basi per una prospettiva punitiva moderna e riformista e si attivarono, poi, per rendere razionalmente accettabile un nuovo quadro di valori e di principi che andava via via prendendo forma nel contesto del nuovo Stato democratico. Aldo Moro è uno di quegli studiosi, attento, rigoroso e profondo, che diede vita alla stagione del diritto repubblicano, anche se tutta la sua opera, e tanta, è stata per decenni confinata in un angolo della storia, sopravanzata e fagocitata dall’energica attività del Moro uomo politico. Questa forse è la ragione per cui gli studiosi moderni non ritrovano più riferimenti bibliografici dell’opera giuridica di Moro, ricordata e richiamata come un significativo riferimento di avanzamento della conoscenza soltanto dai penalisti che gli furono contemporanei (si pensi ai numerosi riferimenti nei lavori di Giuseppe Bettiol), ma del tutto ignota alla letteratura di riferimento contemporanea. E invece -e il Convegno organizzato per commemorarne il centenario della nascita vuole darne conto- è forse giunto il tempo di rileggere, analizzare e approfondire i numerosi scritti di Aldo Moro, per capire quanto sapere ancora sono in grado di offrire e quale proiezione quel pensiero ha saputo imprimere nei nostri studi e nell’assetto dei principi fondamentali (la dommatica) della materia penale. La lettura delle fonti deve avvenire però secondo uno sguardo sinottico per capirne a tutto tondo la valenza, poiché Moro ha contribuito a fondare l’apparato normativo penalistico in Costituzione partecipando ai lavori preparatori e allo stesso tempo ha spinto scientificamente il pensiero in avanti su temi che investono l’opera di rifondazione della teoria del reato e della pena a partire dalla fine degli anni ’40 del novecento. Con buona approssimazione si può affermare che in Aldo Moro il ruolo politico si è nutrito in maniera costante e produttiva dell’opera del giurista, fino al punto da non riuscire più a discernere i confini dei due ruoli; il fine giurista ha messo a disposizione della politica una capacità di elaborazione del pensiero e di posizioni ideologiche che il politico non ha potuto fare altro che lasciar transitare nell’attività del partito e nel lavoro di produzione giuridica nelle Istituzioni dove Moro era chiamato a far parte. Il linguaggio di Moro, l’espressione compiuta del suo pensiero, l’esposizione mai dogmatica ma dialogica e persuasiva si distinguono in quanto non appartengono al contesto argomentativo del confronto e dello scontro politico, erano essi stessi gli strumenti di comprensione e di relazione dialogica, tipica del giurista affinato dall’indagine scientifica e dall’attività didattica che non volle mai abbandonare. E forse la chiave di lettura di questa pervicace volontà di continuare l’insegnamento universitario, anche quando si trovò a ricoprire ruoli di estrema responsabilità istituzionale, come la Presidenza del Consiglio, si coglie nel fatto che il giurista non aveva mai abdicato al politico e che il politico traeva dal diritto e dall’impegno del pensiero giuridico nuovi argomenti e nuova forza dinamica per la lotta politica, dura e intensa, all’interno e all’esterno del partito della Democrazia Cristiana. Ancora più paradossale il fatto che il suo modello argomentativo e il fluire della riflessione logica e convinta si colgono a tutto tondo anche nell’ampio materiale documentario che ci è pervenuto dalla <>, estremo lembo del dialogo tra interlocutori con storie incompatibili, inconciliabili ideali, incomponibili concezioni della <> che era da sempre stata posta al centro della meditazione teorica di Aldo Moro... (segue)



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