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NUMERO 4 - 22/02/2017

 I sistemi elettorali per le elezioni politiche dopo la 35/2017

L’obiettivo fondamentale dei ricorsi presentati in questa occasione, come pure quello relativo ai ricorsi che erano sfociati nella sentenza 1/2014, era chiaro e trasparente: di imporre come unica soluzione costituzionalmente possibile l’opzione legislativa (ma non costituzionale) fatta nel 1948 per l’elezione della Camera dei deputati (ma non per il Senato): proporzionale quasi perfettamente fotografica e voto di preferenza. Nel caso della sentenza 1/2014 il punto di svolta vero fu quello procedurale, relativo all’ammissibilità, su cui non era realistico immaginare che la Corte sarebbe tornata indietro in questa occasione. Vi era certo stavolta un dato nuovo, quello di una legge non ancora applicata: tuttavia, una volta imboccata la strada di ammettere ricorsi non provenienti dal vero giudice delle elezioni, le Camere, non era possibile fermarsi a metà strada. Farlo avrebbe significato andare alle prossime elezioni con una legge a sospetto di incostituzionalità: un rimedio peggiore del male. Dal punto di vista del merito la 1/2014 operò una scelta ragionevole rispetto al contesto e un’obiettiva forzatura. La scelta ragionevole, di fronte alla destrutturazione del sistema dei partiti e delle coalizioni, che aveva portato la prima delle coalizioni votate in unico turno a un quasi raddoppio dei voti in seggi, era quella di richiedere una soglia minima per il premio. La forzatura era quella relativa all’inserimento della preferenza al Senato per scardinare le indifendibili liste bloccate lunghe: si trattava di una soluzione che mai era stata adottata dal legislatore. Almeno alla Camera si trattava di una soluzione approvata dal 1948 e approvata sino al 1992, anche se poi superata in seguito ad un voto referendario, ma al Senato no.  Ci sarebbe stata una soluzione più rispettosa del ruolo del parlamento (e del corpo elettorale), ossia il ripristino delle leggi Mattarella, ma la Corte aveva obiettivamente il problema di consentire a se stessa una reviviscenza che solo poco tempo prima aveva discutibilmente precluso ai cittadini che l’avevano richiesta col referendum, forse per non mettere in discussione il nuovo delicato contesto segnato dalle prime settimane del governo di emergenza Monti. Cosa dire nel merito delle scelte di oggi? In linea generale, anche stavolta, è impossibile leggere la sentenza in modo decontestualizzato. Come la 1/2014 aveva fatto saltare quel premio perché nelle elezioni 2013 la dis-rappresentatività era diventata eccessiva a causa della nuova frammentazione del sistema, era indubbio che essa risentisse ora dei risultati del referendum costituzionale, al di là di quanto parzialmente ammettano esplicitamente le motivazioni. Del resto la decisione era stata rinviata, posponendola al referendum, ammettendo di fatto che il potenziale cambiamento del parametro avrebbe inciso sull’esito. In due punti la sentenza ammette il rilievo del voto. Anzitutto nel monito finale (punto 15,2) lo fa in modo esplicito, anche se delicato, dopo la correzione del cosiddetto refuso, che rivela in realtà un ammorbidimento del monito, come rivelato dai media: i sistemi diversi “non ostacolino..maggioranze parlamentare omogenee” rispetto all’originario “non devono ostacolare”. Al precedente punto 7 lo fa in modo significativo anche se non esplicito dove contesta il ballottaggio in una sola Camera rispetto “alla posizione paritaria” che mantengono Camera e Senato, che sembra obiettivamente l’argomento più forte tra quelli usati contro il ballottaggio... (segue)



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