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La Commissione europea è titolare di un’estesa funzione giustiziale che copre, con varie modalità, sia la propria attività amministrativa, sia quella delle agenzie esecutive ad essa collegate e di talune agenzie decentrate. In tale contesto, il settore ambientale appare particolarmente interessante dal momento che si tratta non solo di un settore ampiamente normato dall’Unione ma anche di un settore dove tale normativa si intreccia con quella internazionale, nella specie, la Convenzione di Aarhus, sottoscritta, nel 1998, oltre che dai singoli Stati, dalla Comunità europea. La tutela predisposta dalla Convenzione si basa, come è noto, su tre diritti fondamentali, parte dei quali sono posti in capo al “pubblico” in generale e parte in capo alle (sole) organizzazioni preposte alla protezione dell’ambiente: il diritto di accesso alle informazioni ambientali, il diritto di partecipazione ai procedimenti in materia ambientale e il diritto di accedere in modo non difficoltoso alla giustizia. Le disposizioni della Convenzione sono state trasposte dalla Comunità attraverso due distinti “canali”: uno destinato alle sue istituzioni e organi, e cioè il regolamento CE n. 1367/2006 e l’altro destinato essenzialmente agli Stati membri, cioè le direttive CE 4/2003 e 35/2003. Con una importante differenza. Mentre infatti il regolamento CE n. 1367/2006 recepisce interamente gli articoli da 6 a 9 della Convenzione, le due direttive sopra citate effettuano una trasposizione solo parziale: la direttiva CE 4/2003 recepisce gli artt. 4, 5 e 9, comma 1, relativi all’accesso alle informazioni in materia ambientale e la tutela nel caso di diniego di accesso; la 35/2003, (modificativa ed integrativa delle Direttive VIA e PRII), recepisce gli art. 6 e 9, commi 2 e 4, che prevedono il diritto del pubblico di partecipare ai procedimenti ambientali e di accedere alla giustizia per far valere la mancata partecipazione a detti procedimenti, con particolare riferimento alle organizzazioni che hanno come scopo la tutela dell’ambiente ed in relazione ai progetti, piani e programmi che abbiano rilevante impatto su quest’ultimo. Manca invece l’adeguamento, tramite direttiva, all’art. 9, comma 3 della Convenzione che obbliga i firmatari a provvedere, ferme restando le procedure di ricorso di cui ai paragrafi 1 e 2, affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale. Come è stato recentemente sostenuto dalla Corte di giustizia, l’applicazione dei diritti derivanti dall’art. 9, comma 3, negli ordinamenti nazionali, non può derivare direttamente dalla Convenzione (ovviamente, attraverso il filtro delle direttive) perché esso non stabilisce un obbligo che risponda ai criteri della chiarezza, precisione e non subordinazione, nel suo adempimento o effetti, ad interventi normativi ulteriori. Infatti, dal momento che detto comma prevede un diritto di accesso alla giustizia ai (soli) soggetti che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale, è evidente che esso è subordinato ad un intervento normativo ulteriore... (segue)
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