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NUMERO 8 - 19/04/2017

 Le Regioni speciali nella dimensione europea. L'esperienza della Sardegna

Da una ricerca condotta dall’Università di Cagliari con l’ausilio dell’analisi statistica emergono alcuni dati significativi circa la collocazione che i sardi assegnano, rectius vorrebbero assegnata, alla propria Regione nei rapporti con l’Unione europea. La prima circostanza che viene in evidenza, allorché l’indagine interroga gli intervistati sulle preferenze verso i diversi livelli di governo, è il desiderio della maggioranza di una riduzione dei poteri dell’UE. Il dato, tuttavia, isolatamente considerato non è esaustivo della percezione che i cittadini sardi hanno dell’Unione europea, in quanto assume una connotazione non necessariamente orientata ad esprimere diffidenza verso il processo di integrazione – come pure di primo acchito si potrebbe pensare – se solo si raffronta con altri risultati dalla ricerca, nella medesima ed anche in ulteriori parti del questionario somministrato. Invero, quell’opzione va letta unitamente all’analoga richiesta di un ridimensionamento anche dei poteri dello Stato espressa da una frazione prossima al 50%, da un lato; nonché alla correlativa, decisa preferenza per un rafforzamento dei poteri della Regione (57 %) ed anche dei Comuni (quasi il 64%), dall’altro. D’altra parte, la percentuale di coloro che vorrebbero in futuro la Sardegna indipendente dall’Italia e dall’UE non raggiunge nemmeno l’8%, mentre superiore al 10% sono coloro che auspicano l’indipendenza dall’Italia, ma al contempo la permanenza nell’Unione, a fronte di un’assoluta maggioranza che si divide tra chi mostra di gradire lo status quo e quelli che manifestano il desiderio di un’evoluzione del sistema di decentramento politico italiano, da semplice ordinamento regionale, verso un approdo genuinamente federale, il tutto, però – come si evince – senza intaccare l’adesione dell’Italia all’Unione europea. A margine, poi, si può anche osservare come esca in parte ridimensionata la visione tradizionale del popolo sardo come insieme di soggetti assolutamente arroccati nella percezione delle proprie peculiarità, che li distinguono, ma forse anche li isolano, dal resto del popolo italiano: pur essendo certamente alta la percentuale di coloro che si definiscono più sardi che italiani (oltre il 32 %), decisamente superiore e quasi doppia è quella di chi si sente in maniera uguale sia sardo che italiano, rispetto ad un campione sufficientemente variegato per età, distribuzione sul territorio e fra province, estrazione sociale e culturale, anche se alquanto sbilanciato verso i non-i non ancora-ed i non più occupati, rispetto a coloro che svolgono un lavoro retribuito o una professione. Assente, invece, (purtroppo – occorre dire – dall’angolo di osservazione qui privilegiato) il dato sulla percezione della cittadinanza europea. A questi primi, già importanti, elementi di riflessione, si aggiungono, poi, quelli che si traggono dalle domande sulle priorità da assegnare agli interventi pubblici nei diversi settori, ove, in relazione, all’economia, spicca il primo posto attribuito al miglioramento dell’efficienza nell’utilizzo dei finanziamenti europei, da cui, pertanto, pare di poter dedurre l’acquisita consapevolezza da parte dei sardi dell’importanza di quelle erogazioni, cui si accompagna al secondo posto la richiesta di incentivi alle imprese. Dati ai quali fanno in un certo senso eco – sotto il profilo delle riforme auspicate – la richiesta di un allentamento del patto di stabilità, che segue di poco la più pressante esigenza di semplificazione della burocrazia... (segue) 



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