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NUMERO 9 - 03/05/2017

 I contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture dalla tradizionale cultura contabilistica (-finanziaria) all'attuale disciplina del Codice sugli appalti

Si avverte l’estrema necessità di premettere in apertura alcune essenziali precisazioni al fine di fissare la prospettiva nella quale procedere all’esame del cd. Codice sui contratti e sulle concessioni pubbliche; detta prospettiva, lungi dal diffondersi nella esegesi di singole disposizioni incluse, si pone l’intento di mettere in risalto la sottesa logica strategica della globale normativa riassuntivamente (e descrittivamente) denominata Codice, in altri termini l’intimo paradigma logico-funzionale dalla tonalità strategica in area economico-sociale. Una tale prospettiva è suggerita a chi scrive dalla facile constatazione che nella specie non sembra rinvenire –è da convenire- il tono di un classico codice, così come è stato inteso nella lunga storia della scienza giuridica, poiché è difficile riscontrare in esso un insieme di norme tra loro coerenti e sistematizzate che realizzino una disciplina di per sé esauriente, ove si consideri che sono previste più di cinquanta interventi successivi a carattere di normazione integrativa; cosa che aveva indotto chi scrive a definire, in una diversa occasione, come una disciplina in progress, e ha indotto   autorevolmente il Consiglio di Stato a rilevare come la materia presenta carattere di “trasversalità e di incursione in altri ambiti codificati, pertanto esso impone un necessario armonico inserimento nel tessuto del vigente ordinamento in termini di coerenza del linguaggio e uniformità degli istituti giuridici”. Pur tuttavia si può convenire che detto (nobilitato) Codice, sia pure   con  i dubbi  espressi, si sottopone all’attenzione del giurista pur sempre sotto la forma e contenuto di un corpus juris in termini di regolazione della “materia” degli appalti pubblici che può rinvenire la sua coerenza nello scopo perseguito, appunto, di una specifica strategia funzionale,come non si è mancato di sottolineare, ancora una volta dal Consiglio di Stato, secondo cui  i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” costituiscono una leva importante della politica economica e sociale di un Paese”; ed è appena il caso di far notare come una tale strategia funzionale imponga per alcuni aspetti l’adozione di una regolamentazione flessibile. D’altronde è sempre bene ricordare come anche la mera esegesi  “non si oppone sostanzialmente alla sistematica cognizione” … purchè “non si perdono di vista, dietro le singole e minute disposizioni, dietro gli elementi particolari e secondari del pensiero legislativo, i principi giuridici   nella loro essenziale unità”. Un siffatto metodo ha più volte richiamato l’attenzione di chi scrive perché sottende l’esigenza sempre più avvertita (con la necessità consequenziale che sia da tutti avvertita) in questi ultimi tempi nei quali il “sistema” giuridico, o se si preferisce ordinamentale ha perso, o stà sul punto di perdere, la sua tenuta (tanti anni orsono mi esprimevo in termini di “fessurizzato”) divenendo perciò “fragile”  perdendo il valore spettantegli di giustificare sul piano sistematico ogni ulteriore intervento politico/normativo, in conseguenza si corre sempre più il rischio di incrementare la sua fragilità proprio a causa della (forse inavvertita) distanza eminentemente logica assunta dalla dottrina. Occorre invece assumere un comportamento più proficuo, in questo periodo di vagabonda ideologia, che, evitando meno di groggiolarsi nel codicillare “le singole disposizioni normative”, l’attenzione venga portata nel verificare se la singola norma sia in grado di essere riemersa nella coerenza del sistema, trattasi sempre di una operazione ermeneutica ma capace di estendere i propri confini nel riproiettare la disposizione singola tra i valori sui quali si regge il sistema e da questi identificare e precisare la sua ratio attuativa. Non si intende ovviamente sostenere (o meglio sospettare) che il sistema ordinamentale abbia “necessariamente” bisogno di recupero-ristrutturazione (per quanto è da domandarsi se la normazione europea non voglia consigliare tanto; ma su ciò più avanti) ma piuttosto di mettere in valore l’esigenza di procedere ad un siffatto “collaudo  in corso d’opera” capace di far maturare la sensibilità circa la tenuta (o meno) del sistema e forse scoprire come esso stia subendo impercettibili (perché non osservate lucidamente) modifiche ed alterazione (alcune delle quali se mai pienamente giustificate storicamente). Non è certamente un mistero che il sopravanzato metodo di limitarsi alla interpretazione della singola disposizione rappresenti la proiezione del dogma storico-politico, maggiormente definito con l’avvento del regime democratico, secondo cui la legge (e quindi le singole disposizioni in essa contenute) viene considerata consistente in “una delibera della rappresentanza popolare”, donde in un regime democratico-sociale viene concepito il “monopolio giuridico” della legge (e delle disposizioni), conseguentemente questa diviene progressivamente l’oggetto quasi esclusivo degli studi in diritto, senza scorgere che un tale atteggiamento giustifica  se mai la pratica giuridica e non lo sviluppo incessante della scienza giuridica, perché è da convenire che è proprio del “metodo puramente normativistico di isolare e rendere assoluta la norma o regola”. E si perviene così al diffuso allarme,da più parti espresso, circa la sopravvenuta incertezza della legge (e quindi delle singole disposizioni), anzi si rileva “esattamente” che è lo stesso sistema delle fonti di produzione normativa che sia incomprensibilmente entrato in crisi, dal momento che siffatto sistema (con la sua gerarchia delle fonti) sembra essersi “fluidificato”, senza però ricontrollare le “cause” e i “fattori” che potrebbero avere determinata una tale apparente (?) modificazione. Orbene se un tale allarme intende muovere dalla causa determinante della progressiva mala formulazione delle disposizioni normative si può serenamente aderire, ma se in  contrario si nutra il sospetto che in ciò si rinviene il motivo dell’esondazione (attuale) della giurisprudenza non è del tutto condivisibile. Perché, a parte che si finirebbe per ricadere in una impostazione prevalentemente di tono pratico (del commercio) del diritto, si perderebbe la sensibilità di appurare se non sia la stessa tonalità paradigmatica del vigente ordinamento, la quale pretende che si ponga l’attenzione sul fatto che esso si sviluppa sempre più in una rete di principi (e non solo di disposizioni) sia di origine interna all’ordinamento domestico o sia di “importazione” dalla Unione. Ed ancora una volta si fa ritorno alla prospettiva di dover tastare il polso prima di tutto della realtà istituzionale e/o del sistema. Rimane però un aperto interrogativo: si può essere certi che l’esondazione, nel senso di giurisprudenza creativa, del giudice non venga facilitata dallo stesso atteggiamento dei giuristi di cui si è fatto cenno. Perché un dato accertabile consiste, è vero,  nel riscontrare una certa esondazione dei giudici, per quanto, sia pure in termini meno allarmanti, è riscontrabile già in tempi storici  precedenti, ma perché non pensare che quella concatenazione operativa (e funzionale) insita nell’apporto costruttivo della vita giuridica tra: norma-dottrina-giurisprudenza, sulla quale forse poggiava anche la maggiore tranquillità sociale, si sia nel tempo attenuata con la conseguenza che il giudice progressivamente ha perduto (e/o ha inteso non più utile e necessario) il collegamento dialogico con i cultori del diritto e questi , per quanto premesso, possono pienamente giustificarsi per un tale stato di fatto?... (segue)



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