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NUMERO 10 - 17/05/2017

 Volontariato, non-profit e beni culturali

Dalle relazioni svolte al Terzo Forum del dono, su «Cultura dei luoghi e luoghi della cultura», chi scrive ha ricevuto – in dono, è proprio il caso di dire – molte notizie interessanti che offrono diversi spunti di riflessione. Anzitutto si è avuta conferma di quanto sia indispensabile la interdisciplinarietà: per il giurista lo è sia che egli operi, in sede ermeneutica, per provare a fare scienza giuridica, sia che voglia fare politica del diritto, ponendosi cioè nella prospettiva del possibile cambiamento dell’ordinamento vigente. Non è di intelligenza semplice ed immediata la concezione del dono che ispira il Forum – secondo la quale il dono (esso rappresentando una eccezione, laddove la regola è quella di tenere per sé le proprie cose e ottenerne altre tramite l’acquisto o lo scambio) mai sarebbe gratuito, ma neppure sarebbe uno scambio a fine di lucro, rappresentando invece un ‘ibrido’: chi dona si aspetterebbe un ‘controdono’, così finendo per tessersi una rete di rapporti interpersonali –, perché non si riesce facilmente ad espungere dalla sua definizione la gratuità: almeno dal punto di vista giuridico, non sembra possibile un tertium genus fra relazione sinallagmatica e atto di liberalità. In ogni caso, ad ascoltare l’odierno racconto delle esperienze sul campo maturate nei quartieri ‘difficili’ di Napoli (Secondigliano, Porta Capuana e Piazza Mercato), dai colleghi architetti, sociologi ed economisti, si ricavano elementi fattuali – quale, ad esempio, la straordinaria resilienza degli abitanti dei detti quartieri – di cui il giurista, e segnatamente il giuspubblicista, se vuole ragionare non astraendosi dalla realtà, non può non tener conto. Sotto il profilo giuridico, perciò, si tratta di capire: a) come collocare de iure condito (e quindi facendo scienza giuridica) le esperienze che si connotano per la peculiare caratteristica della gratuità, della donazione ‘silenziosa’, provando ad individuare – se ci sono – le forme giuridiche in cui una tale ‘donazione’ si può collocare; ovvero b) cosa si potrebbe, e forse si dovrebbe, fare, de iure condendo (sul piano cioè della politica del diritto), non solo per tutelarla, ma anche per favorirne l’incremento. Questo pare essere il contributo che, secondo il ruolo che gli è proprio, può offrire il giuspubblicista. Ciò chiarito, sembra che le relazioni abbiano messo insieme molte cose che, almeno ragionando giuridicamente, vanno considerate separatamente: il restauro del Colosseo con il contributo decisivo di una impresa privata, ad esempio, non può essere equiparato alle esperienze napoletane delle quali si è ascoltato il racconto. Ed invero, la opportunità dell’uso della leva fiscale va valutata con attenzione. È vero, infatti, che mediante lo sgravio per le donazioni in favore di cultura e beni culturali aumenta il flusso di risorse per il settore: e di ciò v’è, obiettivamente, un enorme bisogno. Ma non è esatto che ciò consente allo Stato un risparmio: anzi, a ben riflettere, è vero il contrario. Quel che in effetti così fanno i pubblici poteri è, per un verso, rinunciare ad una quota delle entrate tributarie, e, per altro verso, abdicare dallo svolgimento di un loro compito indefettibile, stante il paradigma di cui all’art. 9 Cost., che assegna alla Repubblica, appunto, il compito di promuovere la cultura e tutelare il patrimonio storico-artistico nazionale: il che rende una scelta siffatta – ad avviso di chi scrive – almeno in parte, e senza che siano poste particolari condizioni, costituzionalmente illegittima. Del resto, anche se il flusso di risorse nel settore aumenta attraverso lo strumento delle facilitazioni fiscali, il controllo sull’uso di una gran parte di esse sfugge all’egida del potere pubblico, per sciogliersi nei desiderata prevalenti nella società civile, e dunque fra i soggetti che in essa sono economicamente più forti. Il giudizio politico su questa ‘scelta’, se essa sia più o meno condivisibile, non spetta al giurista in quanto tale. Questi però ben può – e deve – esprimersi sulla sua conformità al quadro giuridico-istituzionale. V’è poi da riflettere, più in generale, sulla sussidiarietà orizzontale: che – come si proverà a spiegare – non può accogliersi nella versione più radicale, neo-liberista, secondo cui l’intervento pubblico sarebbe legittimo solo in presenza di market failures. Per sussidiarietà orizzontale – che la dottrina maggioritaria considera costituzionalizzata, desumendone la previsione dal co. 4 dell’art. 118 Cost., il quale però non lo fa espressamente – altro non può intendersi che una diversa declinazione lessicale della solidarietà di cui all’art. 2 Cost.: più correttamente il co. 4 andrebbe inteso nel senso che esso ribadisce la regola della sussidiarietà verticale dettata dal co. 1, con riferimento ad un particolare ‘oggetto’ che i pubblici poteri debbono favorire, e cioè «l’autonoma iniziativa dei cittadini». Ci si deve, dunque, intendere: occorre trovare una diversa qualificazione giuridica per il gesto di solidarietà assolutamente liberale e gratuito? Oppure, visto che, secondo il quadro normativo vigente, ciò non si presenta possibile, bisogna promuovere una legislazione che lo contempli? Due esempi per spiegare meglio gli interrogativi. Si pensi, da un canto, al ‘dono silenzioso’ non formalizzato: i 10 euro nel cestino delle offerte ogni domenica in chiesa, invece che il contributo mensile registrato e rendicontato dalla parrocchia in modo che sia ‘scaricabile’ dalle tasse; ovvero le attività rese generosamente in favore degli altri più bisognosi, o comunque di una causa di interesse pubblico, come sono la manutenzione ed il restauro di beni culturali. È necessario qualificare giuridicamente un tale ‘dono silenzioso’? D’altro canto, si pensi all’ipotesi, astratta ma non inverosimile, di un gruppo di medici che vogliano impiantare una clinica privata nella quale far pagare le cure soltanto ai pazienti abbienti, e con i proventi curare gratuitamente quelli poveri, senza ricavare per sé niente più che uno stipendio ‘normale’. È evidente che il secondo esempio non è assimilabile al primo: una iniziativa come questa, infatti, deve assumere forma giuridica, non fosse altro che per conseguire il riconoscimento formale che consente gli sgravi fiscali. La riflessione pertanto – come si intuisce facilmente – si presenta articolata. Sebbene vi siano aspetti, e perciò profili di indagine, comuni, appare evidente che essa richiede di essere diversificata a seconda del settore di cui si discute. Per intendersi: una cosa è l’assistenza sociale e/o sanitaria, altra cosa sono la tutela e la fruizione del patrimonio storico-artistico e la promozione della cultura. Con particolare riferimento al settore della cultura e dei beni culturali, si pongono quindi, ‘naturalmente’, una serie di domande specifiche cui si deve trovare risposta. Anzitutto, bisogna chiedersi se sia sufficiente guardare al risultato conseguibile per giustificare l’intervento privato in un ambito di attività che è proprio dei pubblici poteri. Precisandosi, inoltre, che comunque occorre chiarire a chi spetti definire quale sia il risultato da ottenere. In secondo luogo, ci si deve domandare se si debba distinguere fra i soggetti privati: se v’è cioè un privato ‘generoso’, che opera nell’interesse altrui, da tener separato da un privato ‘egoista’, che opera nel proprio interesse. In terzo luogo, pare doveroso chiedersi se sia fondato – o non rappresenti un luogo comune – l’assunto secondo cui, nel settore dei beni culturali, favorire l’azione privata con sgravi fiscali possa realmente ‘creare’ lavoro, e dunque produrre reddito. È proprio sicuro, ad esempio, che possano farlo le visite guidate organizzate ai luoghi della cultura? Non va trascurato, infine – lo ha ricordato il prof. Musella – che, da indagini scientifiche sulla sua efficacia, sarebbe dimostrato che la legislazione che disciplina, favorendolo, il terzo settore, mediante la previsione di contributi e sgravi fiscali, di fatto ‘peggiora’ la qualità delle prestazioni dei ‘donatori’: come a dire che il dono indotto, diventando – potrebbe dirsi – ‘peloso’, così perdendo la sua originaria natura, si rivela di non elevata qualità... (segue)



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