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NUMERO 10 - 17/05/2017

 La funzione giustiziale nella prospettiva delle appropriate dispute resolution

Risultati immagini per alternative dispute resolutionCon il presente scritto ci si propone di offrire una, seppur sommaria, risposta a specifici quesiti, ed in particolare: a) cosa debba oggi intendersi per funzione giustiziale; b) quali siano i presupposti affinché tale funzione possa essere esercitata in maniera legittima e, nel contempo, efficace; c) se, ed eventualmente per quali motivi, sia oggi opportuno prospettare una valorizzazione dei rimedi di risoluzione delle controversie alternativi al ricorso giurisdizionale. Il tradizionale inquadramento teorico della funzione giustiziale si innesta all’interno di una visione gerarchica e marcatamente autoritativa dell’amministrazione, ormai del tutto inattuale, il che si riflette inevitabilmente sugli istituti classicamente ricondotti ad essa, i ricorsi amministrativi, anch’essi espressione di un modello relazionale tra amministrazione e cittadino ampiamente superato. Al di fuori del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica – la cui recente profonda rivisitazione lo ha connotato di caratteri tali che, pur non facendolo assurgere al rango di rimedio propriamente giustiziale, ne hanno senza dubbio incrementato il livello di efficacia – in merito ai ricorsi amministrativi si segnala ormai da tempo una situazione di crisi, che trova origine nello “scollamento” che di fatto si è venuto a creare tra il loro impianto teorico e ciò che invece essi esprimono in concreto: lo scopo istituzionale, tutelare il cittadino, è posto in essere in maniera del tutto inadeguata, parziale, e senza idonee garanzie di difesa, circostanza che genera una consequenziale indifferenza, se non diffidenza, da parte del privato. E’ stato opportunamente osservato, inoltre, come il fallimento dei ricorsi amministrativi tradizionali sia il frutto anche della connaturata contrapposizione tra amministrazione e giurisdizione che connota il nostro ordinamento, contrapposizione intimamente legata al ruolo centrale (pseudo-esclusivo) attribuito al giudice dall’art. 24 Cost. in termini di tutela del cittadino. Più nello specifico, emergono criticità in primo luogo sotto il profilo strutturale, più evidenti in relazione al ricorso in opposizione (attesa la intrinseca unicità tra titolare della decisione e parte della “controversia”), ma ugualmente rilevabili anche in merito al ricorso gerarchico, alla luce tanto dell’assoluta mancanza del requisito della terzietà dell’organo decidente, quanto della sua evoluzione da rimedio generale ad eccezionale, in ragione della modifica dell’assetto organizzativo generale della p.a., nonchè della ridefinizione del rapporto politica amministrazione. Ma al di là delle suddette ragioni, legate a motivi di ordine storico o sistematico, la crisi dei ricorsi amministrativi tradizionali riposa indubitabilmente e primariamente nelle finalità che l’ordinamento attribuisce loro. In altri termini, è forse da rimeditare la ratio stessa di tali rimedi: con essi l’amministrazione non è in realtà chiamata a dirimere una controversia in maniera neutrale, bensì a rivalutare il proprio operato (o quello dell’organo subordinato) sulla base delle osservazioni presentate dal privato. Nulla di diverso, quindi, (se non in relazione al “momento” in cui interviene) rispetto alla dinamica infraprocedimentale di cui all’art. 10-bis della l. n. 241/1990, ovvero di un peculiare esercizio della funzione di amministrazione attiva; e nulla a che vedere, di contro, con l’esercizio di un’attività giustiziale, ovvero espressamente ed esclusivamente rivolta alla giusta definizione di una controversia in senso tecnico. I ricorsi amministrativi, in definitiva, così come tradizionalmente configurati ed intesi, sono strutturalmente e funzionalmente inidonei a svolgere un ruolo determinante sia in termini di effettiva deflazione del carico giurisdizionale, sia in funzione di una concreta e più immediata tutela del cittadino. In tal senso, in un precedente lavoro, si è  auspicato un sostanziale intervento riformatore, teso, da un lato, a sopprimere definitivamente l’inutile retaggio storico rappresentato dal ricorso gerarchico e, dall’altro, alla generalizzazione del ricorso in opposizione, non inteso, tuttavia, quale rimedio a carattere propriamente contenzioso, quanto piuttosto quale strumento di partecipazione rafforzata. Il solo modello di ricorso amministrativo potenzialmente in grado di soddisfare le istanze di tutela sottese all’esercizio della funzione giustiziale è, a ben vedere, il ricorso gerarchico improprio, nella misura in cui esso si connota per un’assoluta estraneità (a dispetto del nomen) a schemi organizzativi di tipo gerarchico, tale da fornire – almeno sul piano teorico – un modello procedimentale in grado di garantire l’esercizio di un’attività formalmente e sostanzialmente finalizzata alla sola giusta risoluzione di un conflitto. Ciò nonostante, anche l’esame dei pochi esempi di tale rimedio a carattere eccezionale presenti nel nostro ordinamento non offre un quadro positivo in termini di effettivo incremento del livello complessivo di protezione degli interessi del cittadino nei confronti dell’amministrazione. Resta ferma in chi scrive, tuttavia, la convinzione che il fallimento dei tradizionali rimedi giustiziali contemplati dall’ordinamento non autorizzi ad assestarsi su posizioni di netta chiusura nei confronti di un’ipotesi di valorizzazione (su nuovi e più attuali presupposti) della funzione giustiziale, il che, per inciso, può ritenersi dimostrato, tra l’altro, da come, ciclicamente, lo stesso Giudice amministrativo manifesti tale esigenza... (segue)



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